L’arte è davvero per pochi?

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L’arte e la musica come linguaggio universale

Parole chiave: arte, musica, emozioni

L’arte è molto più di quadri appesi alle pareti o melodie che ci accompagnano nell’ascolto. È anche un linguaggio universale strettamente connesso alle nostre emozioni e al mondo che ci circonda. In questo articolo, esploriamo il significato dell’arte attraverso le lenti della psicologia cognitiva, evoluzionistica e delle neuroscienze.

Partendo dagli interrogativi su cosa sia l’arte e sul suo scopo, esaminiamo come essa vada oltre la mera bellezza estetica. L’arte ha tante funzioni: ci permette di esprimere ciò che siamo, comunicando pensieri, sentimenti ed emozioni altrimenti non esprimibili; permette l’innovazione stimolando la creatività, la creazione di nuovi legami e tanto altro. In questo articolo approfondiremo maggiormente l’aspetto emotivo e comunicativo. Attraverso esempi storici e contemporanei, scopriremo come l’arte sia stata e sia tutt’oggi uno strumento per la comunicazione, comprendendo chi sono i soggetti che possono fare arte.

Successivamente, ci addentreremo nella dimensione individuale dell’esperienza artistica, focalizzandoci sulla musica e sulle sue profonde connessioni con le nostre emozioni e il nostro benessere.  Si esaminerà come la musica stimoli la produzione di sostanze chimiche nel nostro cervello, influenzando il nostro umore e la nostra percezione del mondo circostante.

Infine, esploreremo il potenziale dell’arte nel mondo della psicologia utilizzando come esempio l’uso della musica nel trattamento di patologie fisiche e mentali. Scoprite con noi come l’esperienza artistica possa essere un’importante risorsa per la guarigione, per il benessere psicologico, e per la comunicazione, al di là delle parole, a supporto di legami interpersonali come, tra gli altri, quello tra terapeuta e paziente.

Definendo l’Arte: Oltre la Bellezza Estetica

Nell’approcciarsi allo studio dell’arte gli scienziati si sono spesso interrogati sulla definizione di arte e sul suo significato. La domanda che funge da spunto iniziale a questo articolo è quindi: cos’è l’arte, e a cosa serve? 

Secondo Baines l’arte è la gamma completa di attività esteticamente ordinate – ovvero dotate di un gusto e un ordine fruibile tramite i sensi (Treccani, s.d.) – all’interno della società, a prescindere dalla produzione di opere d’arte testuali, pittoriche o in altre forme, ad esempio musicali (Baines, 2014). Parliamo quindi sia di estetica, che di arte, che di società, anche se tra le prime due sussiste una differenza fondamentale, perchè l’estetica ha a che fare con il valutare una forma d’arte per bellezza, armonia, forma (Jacobsen, 2010), mentre l’arte è considerata come una forma di espressione umana che non necessariamente implica la bellezza. 

1.1 L’Accessibilità dell’Arte

L’arte si concentra maggiormente sulle qualità relazionali di un’opera d’arte, oltre a quelle percettive (Adajian et al., 2022). Da qui comprendiamo una cosa fondamentale, importantissima per tutti noi: non solo che l’arte non deve essere necessariamente bella, ma anche che l’importante è che esprima qualcosa. Ne consegue che chiunque abbia qualcosa da dire può fare arte, al fine di portare fuori pensieri, sentimenti, emozioni. Tutti noi possiamo fare arte!

Il ruolo comunicativo dell’arte sembrerebbe anche essere supportato dal modo in cui ci siamo evoluti come esseri umani: il cervello umano è in grado di percepire meglio alcuni stimoli rispetto ad altri, che saranno in grado di comunicare meglio le sensazioni dell’autore dell’opera d’arte; inoltre, è anche vero che alcune cose ci piacciono e le consideriamo arte perché ci comunicano qualcosa di ancestrale, del quale non siamo sempre consapevoli. Facciamo un esempio: quante volte ci è capitato di vedere un quadro o di leggere una poesia che ci raccontassero di un paesaggio, con colline verdi, alberi sullo sfondo, magari con una fonte d’acqua illuminata da un raggio di sole…davvero suggestivo. Questo fenomeno può essere spiegato dalla Savannah Hypotesis,  la quale teorizza un’innata preferenza per i paesaggi simili all’ambiente della Savana nel quale gli esseri umani si sono evoluti durante il Pleistocene (Powell, 2013). Troveremmo quindi piacere nel guardare paesaggi all’aperto (en plein air, ci avevano visto proprio bene i pittori impressionisti!) con piante e animali, che trovano riparo e soccorso in una fonte d’acqua su uno sfondo con delle colline che accenderebbero la nostra curiosità del tutto umana di voler sapere cosa c’è dietro.

1.2 Le funzioni dell’Arte

L’arte, sempre evolutivamente parlando, sembrerebbe soddisfare un altro grande bisogno umano, ovvero quello di dare significato. Il fare arte infatti può avere un ruolo molto catartico: ci aiuta a dare un ordine a tutto ciò che non capiamo e che ci disturba e/o ci permette di scappare momentaneamente in un altro luogo in cui possiamo sentirci meglio, nel flusso dell’espressione artistica. Tra le altre cose, ci permette di restare nel presente e di interfacciarci con la misura, la forma, il significato delle cose in un mondo in cui pensiamo sempre a ciò che faremo tra poco e mai a ciò che stiamo facendo adesso (Dissanayake, 1988).
Se l’arte ad oggi ci aiuta moltissimo nel portare fuori le nostre emozioni e per esprimerci più in generale, risulta facile comprendere uno dei ruoli che l’arte ha avuto nel corso della storia, diverso nelle modalità a seconda del periodo, ma uguale nell’intento a ciò che ci permette di fare oggi: comunicare. Ed in effetti l’arte in tutte le sue forme (pittorica, musicale, etc…) è stata da sempre al servizio di rituali, attività collettive, ricerca di consenso. Pensiamo ad esempio alla pittura: nell’era preistorica le pitture rupestri avevano un significato mitologico, prima che artistico, perché l’artista era un mago che prevedeva il successo del cacciatore (Laszlo,2015). Allo stesso modo, realizzare artefatti durante il Paleolitico poteva essere un momento in cui ci si trovava tutti insieme a svolgere un’attività in armonia. Effettivamente, ricorda molto gli incontri settimanali di coro, di uncinetto, di ballo o di qualsivoglia attività in cui ci vogliamo impegnare: oltre che per imparare ciò che non sappiamo fare o per migliorarci, è un’occasione per condividere qualcosa. A livello musicale, possiamo pensare al jazz, cantato dagli schiavi neri deportati negli Stati Uniti, che lo utilizzavano per esprimere e cercare aiuto nel sopportare le fatiche del lavoro a cui erano sottoposti, alla musica popolare, semplificata al massimo per arrivare a tutti coloro che possano cantarla e ballarla insieme (De Stefano, 2014).  Un altro esempio è dato dalla Taranta, una danza attraverso la quale il tarantato (colui che è morso dalla tarantola) riesce, secondo la tradizione popolare, ad esorcizzare il suo malessere fisico e psicologico, danzando e saltellando a ritmo di musica, intrecciando così folklore, musicalità, emozioni e sensazioni che tutti possiamo sperimentare, che siano esse collegate a una mitologia oppure no (Pavanello, 2013).

Appare evidente come nelle varie epoche, al variare di società e luoghi, svariate forme d’arte hanno fatto da mezzo fondamentale nella comunicazione e trasmissione di significati e simboli essenziali delle diverse.

1.3 Arte e creatività: un legame indissolubile

La comunicazione è alla base di ogni forma d’arte, ma non è l’unico aspetto che la caratterizza. Quando parliamo di arte parliamo anche di creatività, intesa come capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, e di strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze (Treccani, s.d.). Ed in effetti produrre arte comprende il saper manipolare oggetti, rappresentarli a nostro piacimento, e, perchè no, immaginarne di nuovi permettendo una generalizzazione di questi processi in attività di tutti i giorni, come ad esempio la comprensione e la risoluzione di problemi (Okada et al. 2009).

Insomma, tutti possiamo fare arte in quanto ci può aiutare ad esprimerci come esseri umani e può permetterci di creare qualcosa di nuovo, di guardare le cose con un’altra prospettiva. Non importa scrivere la canzone più bella del mondo, non importa dipingere un quadro che sia meraviglioso: importa piuttosto che abbia un significato, prima per noi e poi per gli altri.

L’arte e le scienze psicologiche

 

Abbiamo parlato sia della bellezza che del significato dell’arte. Ma come possono essere spiegati questi aspetti a livello individuale e neuroscientifico? E come potrebbero essere potenzialmente impiegati per migliorare il nostro benessere? 

Scopriamo insieme cosa suggeriscono alcune ricerche in ambito psicologico.

2.1. Le Neuroscienze sull’Apprezzamento Artistico

L’esperienza estetica, ovvero l’esperienza dell’apprezzamento e del piacere risultante dall’esposizione a opere d’arte, sembra essere collegata al fenomeno della ricompensa. L’ascolto della musica, ad esempio, è in grado di stimolare la produzione di dopamina, il che ci porta a percepire quell’esperienza come piacevole e a desiderare di ripeterla. Questo aspetto è dovuto in buona parte a dei fattori cognitivi. Ciascuno di noi infatti possiede delle rappresentazioni mentali di vari generi musicali sulla base delle nostre esperienze di ascolto e di vita, e tali schemi ci portano a formare determinate aspettative. Quando ascoltiamo qualcosa di nuovo, il delicato equilibrio che si va a formare tra gli elementi che confermano le nostre aspettative e quegli elementi che invece le violano – producendo una reazione di sorpresa e quindi risultando salienti – è capace di stimolare i nostri centri del piacere e della ricompensa (Powell, 2010). Questo avviene attraverso quello che Silvia definisce come novelty-check: di fronte alla novità, viene effettuata una valutazione di quanto siamo in grado di comprendere ciò a cui ci troviamo di fronte sulla base delle esperienze pregresse, e il risultato di questa valutazione determina il nostro grado di apprezzamento (Silvia, 2005). Di fronte a un’opera a noi familiare, tutto questo naturalmente non è necessario. La musica che conosciamo risulta più piacevole in quanto si collega ai nostri ricordi; è in grado di produrre una maggiore attivazione cerebrale, sia nel circuito della ricompensa – con un’attivazione derivante già dall’anticipazione dell’esperienza di ascolto – che nelle strutture limbiche (Powell, 2010; Pereira et al., 2011). Il sistema limbico è noto per il suo coinvolgimento nella generazione, la percezione, il mantenimento e la regolazione delle emozioni. E’ composto da strutture sottocorticali le cui disfunzioni sono correlate a disturbi psicologici specifici, in particolare ai disturbi dell’umore. L’ascolto di musica è in grado di attivare queste strutture e generare delle risposte emotive: amigdala, ippocampo, insula e altre strutture paraippocampali sono tutte coinvolte nella risposta allo stimolo musicale (Koelsch, 2010). Come accennato prima, la musica a noi familiare amplifica queste reazioni, ci coinvolge, stimola i nostri ricordi e può essere vissuta come rassicurante. Questo la rende ideale anche nell’impiego terapeutico: numerosi studi, ad esempio, ne hanno visto l’impiego nel trattamento di pazienti anziani affetti da demenze o morbo di Alzheimer nel migliorare la consapevolezza di sé, le funzioni cognitive tra cui la memoria e ridurre l’agitazione (Arroyo-Anllò et al., 2013).

2.2. Il legame tra musica ed emozioni

Queste scoperte nell’ambito delle neuroscienze confermano ancora una volta quanto l’arte, e in particolare la musica, non sia una mera esperienza estetica, ma abbia a che vedere con la nostra esperienza delle emozioni. Sia il compositore di musica che l’interprete o performer partono dall’intento di esprimere un’emozione con la loro arte; tale espressione diventa una vera e propria forma di comunicazione nel momento in cui l’ascoltatore riesce a cogliere il significato emotivo del pezzo e ad entrarvi in sintonia, talvolta arrivando a sentire le stesse emozioni intese e espresse dall’autore del brano. Questo fenomeno può verificarsi sia in maniera inconsapevole che consapevole: nel primo caso si parla di emotional contagion (ovvero, l’adozione spontanea delle emozioni che percepiamo nell’ambiente circostante), nel secondo di vera e propria empatia, nella quale vi è una capacità di base di distinguere tra le proprie emozioni e quelle che appartengono all’esterno (Egermann & McAdams, 2012). 

La musica non viene utilizzata solo per esprimere e comunicare emozioni, ma anche per meglio comprenderle ed elaborarle. Vi siete mai chiesti come mai spesso scegliamo di ascoltare musica triste in un momento avverso della nostra vita? Questa scelta apparentemente disfunzionale, se pensata dal punto di vista della emotional contagion, può in realtà diventare un’occasione di apprendimento grazie alla nostra capacità di empatizzare senza farci travolgere dalle emozioni dell’altro. Van den Tol e Edwards (2015) spiegano infatti che scegliere musica triste spesso è dovuto al bisogno di riflettere sulla nostra esperienza, al bisogno di entrare consapevolmente in contatto con le nostre emozioni, oppure è legato all’uso della musica come strumento di reappraisal cognitivo. Soprattutto in quest’ultimo caso, la musica scelta spesso trasmette uno specifico messaggio che l’ascoltatore ritiene di valore e di aiuto per la propria situazione: tale utilizzo della musica stimola quella che viene definita come cognizione “fredda” (indipendente dagli stati emotivi) rispetto a quella “calda” (associata alle emozioni), migliorando la capacità di fronteggiare le situazioni avverse e di gestire le proprie emozioni negative. 

2.3. Applicazioni terapeutiche della musica

Considerando tutti questi aspetti, viene naturale domandarsi allora se (o meglio, quanto) la musica possa avere valore come strumento terapeutico, data la sua capacità di influenzare il nostro stato fisiologico ed emotivo. Questa idea nacque già nel secolo scorso, quando durante il conflitto mondiale veniva utilizzata la musica all’interno delle infermerie, per allietare l’esperienza di ricovero dei soldati: ci si rese conto che le loro ferite guarivano più in fretta e il loro umore migliorava sensibilmente (Powell, 2010). Da allora sono stati fatti enormi passi avanti nella sistematizzazione degli interventi con la musica per il trattamento di diverse patologie, sia fisiche che mentali. 

La musica ha un impatto non solo sul nostro cervello, ma sull’intero organismo. Oggi sappiamo che essa è in grado di abbassare la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, e di migliorare lo stress riducendo i livelli di colesterolo nel sangue (e.g. Suda et al., 2008). Questo la rende ottimale nel trattamento dei disturbi da stress, i disturbi del sonno e dei disturbi cardiovascolari; la sua capacità di ridurre lo stress e indurre rilassamento fisico la rende efficace anche nel trattamento del dolore (Powell, 2010). Nell’ambito del trattamento della salute mentale, inoltre, si è dimostrata efficace nel miglioramento del tono dell’umore, nella riduzione dell’ansia e nel favorire sia i processi cognitivi che la creazione di nuovi pattern comportamentali. L’impiego della musicoterapia rappresenterebbe un evidente vantaggio se confrontato alla farmacoterapia (comunque necessaria in alcuni casi), in quanto priva degli effetti collaterali tipici di alcune categorie di psicofarmaci (Aalbers et al., 2017; Kwon et al., 2013).

Si è infine parlato di come poter introdurre l’uso della musica nella psicoterapia, in virtù delle sue capacità – in quanto strumento di coesione sociale – nel rafforzare l’alleanza terapeutica, ma soprattutto di comunicare al di là del piano verbale, superando quelli che possono essere dei meccanismi di difesa nei confronti delle emozioni negative (Blimling, 2019). Tale utilizzo, seppur estremamente promettente, necessita di ulteriori ricerche al fine di poter costruire degli interventi evidence based in cui la musica non venga vissuta solo come ascolto passivo, ma come strumento che se usato consapevolmente ha un enorme potenziale sul benessere psicofisico dell’individuo. 

 

Conclusioni

Abbiamo visto come l’arte non sia riservata solo a pochi privilegiati, è accessibile e ha molteplici funzioni care al mondo della psicologia: connessione con il presente, costruzione di significati personali e condivisi, ma anche espressione delle emozioni e la creazione di momenti di condivisione. Abbiamo anche visto come, da un lato, l’arte possa aiutare tutti ad esprimere pensieri ed emozioni. La possibilità di esprimersi attraverso le arti da un lato permette di tirare fuori in maniera assolutamente soggettiva quel qualcosa che abbiamo dentro e che parole non riescono a trasmettere; dall’altro lato, questa soggettività aumenta la difficoltà che un fruitore di una nostra opera potrebbe percepire nella comprensione della stessa. E va bene così: non tutte le modalità espressive devono essere curate affinché siano comprese dagli altri. A livello individuale, abbiamo visto come l’arte agisce sulle nostre emozioni e sul nostro benessere, influenzando anche il nostro stato fisiologico. L’integrazione dell’arte nella psicologia offre opportunità innovative, sfruttando il potere dell’espressione artistica – come quello della musica – per favorire aspetti quali, ad esempio, la guarigione nei giusti contesti, la creatività, la socialità.

Infine, vorremmo concludere proponendovi un’esperienza da poter condividere con un piccolo gruppo di amici o con il vostro/la vostra partner:

1 – Procuratevi dei bigliettini della dimensione di post-it e delle penne.

2 – Selezionate ciascuno due brani musicali che vi rappresentino in qualche modo (ad esempio, chi siete, chi siete stati, cosa avete vissuto, come vi sentite, ecc.). Potete anche utilizzare dei vostri brani se siete musicisti.

3 – A turno, ognuno riprodurrà i propri brani. Durante l’ascolto, gli ascoltatori scriveranno parole, pensieri, emozioni suscitate dall’ascolto su un post-it da consegnare a chi ha scelto il brano. Dopo aver ascoltato tutti i brani, potrete discutere quanto è emerso. Prendetevi il tempo che ritenete utile.

 

Scritto da:

Layla Antonietti

Silvia La Face

Arturo Palma 

 

BIBLIOGRAFIA 

 

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