“Compassion fatigue and burnout in nursing – enhancing professional quality of life”

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Compassion satisfaction, Compassion fatigue & Burnout

L’autrice Vidette Todaro-Franceschi inizia il suo libro introducendo tre termini (compassion satisfaction, compassion fatigue e burnout) e le loro differenze. Secondo lei, questi definiscono la qualità della vita lavorativa di un professionista sanitario, e possono influenzare molto anche il modo in cui egli si percepisce nella propria vita personale. La compassion satisfaction è lo stato che ogni professionista del mondo della salute vuole raggiungere: è uno stato in cui la persona è felice del proprio lavoro, è interessata ai propri pazienti, e ha il “cuore pieno di compassione” (Stamm, 2010). La compassion fatigue, invece, è un termine che è stato usato per la prima volta dall’infermiera Carla Joinson nel 1992, e può manifestarsi quando un professionista sanitario è stanco del sentimento di compassione, e diventa qualcosa di pesante per lui o per lei. Un esempio è portarsi a casa il paziente, ed essere preoccupati per le sue sorti.
Se la compassion fatigue non viene fermata, si può sviluppare il fenomeno conosciuto come burnout, che è molto più grave. Il burnout è uno stato in cui la persona, a causa dell’esaurimento fisico ed emotivo, arriva ad odiare il proprio lavoro. Un esempio è il professionista che perde il valore del proprio mestiere ed è disponibile a fare tutt’altro. L’ambiente di lavoro può condizionare direttamente questi 3 stati, diventando un fattore protettivo o di rischio per il burnout. 

La compassione e la soddisfazione nel lavoro

Oltre ad approfondire gli stati di qualità della vita professionale, Todaro-Franceschi ha sottolineato in un intero capitolo l’importanza della compassione e della soddisfazione nel mondo del lavoro. “La compassione non è solo qualcosa che si prova in relazione alla sofferenza di un’altra persona, ma l’esperienza di sentire con l’altro (Blum, 1980)”. Secondo l’autrice, questo sentimento può non solo aiutare i professionisti del mondo della salute a svolgere il loro lavoro con eccellenza, ma anche provocare in questi ultimi una sensazione di efficacia. Inoltre, importante sottolineare che nella compassione si è attivi verso la cura. 

La soddisfazione è un altro sentimento essenziale per avere una bella esperienza con il proprio lavoro e ci sono tante variabili che possono provocarla o interferire il suo sviluppo. Nel 2001, ad esempio, si è svolto uno studio (Schmalenberg & Kramer, 2008) con infermieri di 14 ospedali che affermavano di provare la compassion satisfaction. È stato chiesto loro cosa causasse questa sensazione, e gli infermieri hanno condiviso 8 motivi: colleghi competenti, relazioni di collaborazione, autonomia nel processo di decision making, leader che offrono supporto, controllo personale della pratica, supporto per l’istruzione, percezione di personale adeguato e una cultura di lavoro in cui la cura dei pazienti viene prima di tutto.Ovviamente sia la compassione che la soddisfazione sono importanti nel mondo del lavoro, e dovrebbero essere valutate spesso. Aumentando la compassione e la soddisfazione possiamo costruire un sentimento di benessere verso noi stessi e nei confronti della nostra vita professionale. 

La compassion fatigue e il burnout

Come abbiamo visto, si parla di compassion fatigue nel momento in cui un professionista sanitario è stanco di provare compassione, e inizia ad evitarla come un meccanismo di difesa per non provare sentimenti negativi come la tristezza. La verità, però, è che la compassion fatigue è molto più ampia di quello che sembra e se non viene curata può sfociare nel burnout. Figley (2002), ad esempio, descrive questo fenomeno come una mancanza cronica di self-care (cura di sé), dove l’altro viene sempre prima.
Il burnout, invece, è il risultato di una frustrazione accumulata nei confronti del proprio ambiente di lavoro. Esso ha a che fare strettamente con le persone con cui si lavora (i.e., pazienti e colleghi), con le interazioni che si hanno, e con i sentimenti di rispetto e apprezzamento che si percepiscono all’interno della professione. Il burnout comprede tre caratteristiche tipiche: 1) travolgente sensazione di esaurimento, 2) sentimenti di cinismo e distacco dal lavoro e 3) senso di inefficacia e mancanza di realizzazione (Maslach, 1993). Inoltre, esso si sviluppa con il passare del tempo, al contrario della compassion fatigue.
Alcuni dei segni tipici della compassion fatigue e del burnout possono essere: cambiamenti comportamentali, sentimenti negativi e cambiamenti fisici. Esempi di cambiamenti comportamentali includono: depressione, rabbia, irritabilità, lavorare in eccesso, uso di sostanze, disturbi legati al sono e all’alimentazione e problemi di concentrazione. I sentimenti negativi, invece, possono inglobare: bassa autostima, apatia, sentimenti di delusione, molta autocritica, minore capacità di provare compassione, e così via. Infine, i cambiamenti fisici possono essere: fatica, esaurimento, mal di testa frequente, problemi gastrointestinali e tensioni muscolari. Stare attenti alla presenza di questi sintomi in sé e nei colleghi può aiutare a prevenire o a curare la compassion fatigue e il burnout nell’ambiente di lavoro, rendendolo uno spazio sano e di benessere.

Come si sviluppano la compassion fatigue e il burnout?

È difficile capire come la compassion fatigue e il burnout si possono sviluppare, visto che possono influire tante variabili diverse. Come menzionato prima, l’ambiente di lavoro può essere una delle ragioni, come anche la presenza di traumi nella vita professionale. Stamm (2010) si riferisce a due tipi di traumi: primario e secondario. Il trauma primario è quello che colpisce direttamente una persona (e.s. abuso fisico, mentale, emotivo o bullismo), mentre quello secondario consiste nell’essere testimone di un trauma primario. Come conseguenza, compare spesso la difficoltà di maneggiare le proprie emozioni. Un ambiente di lavoro negativo e colleghi abusanti possono essere importanti fattori di rischio per lo sviluppo della compassion fatigue e del burnout, e dovrebbero per questo essere valutati per prevenirli.
Un altro fattore che può contribuire allo sviluppo della compassion fatigue e del burnout è il disagio morale (Corley, 2002). Il disagio morale si manifesta quando la persona conosce quale sarebbe la cosa giusta da fare, ma i vincoli istituzionali rendono quasi impossibile perseguire la giusta linea d’azione (Jameton, 1984). Di conseguenza, possono presentarsi emozioni negative come la rabbia, e sensazioni fisiche scomode come problemi gastrointestinali. In più, il sentimento di non sentirsi efficaci o ascoltati spesso accompagna il disagio morale. Quindi, riconoscere i propri valori e sviluppare una comunicazione assertiva nel mondo del lavoro possono aiutare a superare questo fenomeno, che è un fattore di rischio per lo sviluppo della compassion fatigue e del burnout.
Un altro aspetto che è molto presente quando si parla di burnout è l’ambizione. Di solito le persone che arrivano al burnout provano tantissima determinazione verso il proprio lavoro, e mano a mano smettono di dare attenzione agli altri aspetti della loro vita. Quando i primi segni di questo fenomeno compaiono, la persona tendenzialmente nota che c’è qualcosa di sbagliato (come sensazioni fisiche spiacevoli), ma non sa spiegare bene quale sia il motivo per cui sono nate in lei queste sensazioni. Dopo i primi segnali, spesso si iniziano a mostrare cambiamenti comportamentali come cinismo, intolleranza, aggressività, apatia e depressione. Pertanto, avere un giusto equilibrio tra vita professionale e personale, e saper porre dei limiti nella propria ambizione può servire per prevenire il burnout.

Come prevenire la compassion fatigue e il ruolo della formazione

La formazione tante volte presta poca attenzione ai numerosi aspetti che potrebbero servire per far diventare la pratica infermieristica più umana. L’autrice sottolinea, ad esempio, che mancano lezioni e corsi che insegnino agli infermieri a sviluppare una comunicazione più assertiva tra loro e con gli altri professionisti del mondo del lavoro sanitario. Tante volte, infatti, gli infermieri pensano di dover rispettare “gli ordini del dottore”, perché non gli è stato insegnato a imporsi.
Inoltre, la formazione non insegna agli infermieri ad affrontare lo stress e i conflitti, e per questo notiamo in effetti numerosi casi di compassion fatigue e burnout all’interno di questa professione. Mancano anche lezioni che istruiscano gli studenti o i professionisti ad affrontare la morte dei pazienti, che può essere un evento abbastanza comune, a seconda del dipartimento in cui l’infermiere o l’infermiera lavora. Sarebbe dunque indispensabile una formazione, che sottolinei anche l’importanza di prendersi cura di sé stessi e di cercare di avere qualità sia nella vita professionale che personale. Un insegnamento più ampio, quindi, è necessario per il presente e il futuro della professione infermieristica, sia per gli infermieri che per i pazienti.

Un tipo specifico di formazione basato sulla compassione: l’ART

Un’altra tematica che viene riportata nel percorso del libro è il modello ART, inventato dall’autrice stessa. Questo modello viene presentato come un modo per superare i diversi ostacoli e problemi che si possono affrontare durante la pratica infermieristica. È un modello di facile applicazione e può aiutare molto a combattere diversi tipi di situazioni conflittuali. In inglese, l’acronimo ART vuol dire Acknowledging, Recognizing, and Turning Outward”, e la traduzione più vicina all’italiano potrebbe essere “Consapevolezza, Riconoscimento e Girare l’attenzione al di fuori”. Più nel dettaglio:

  • Acknowledging – significa avere consapevolezza dei propri sentimenti e della situazione attuale.
  • Recognizing – significa riconoscere le diverse possibilità che si possiedono e prendere una decisione.
  • Turning outward – significa letteralmente “girare verso l’esterno” ma metaforicamente significa prestare attenzione a qualcosa e, in questo caso, quel qualcosa dovrebbe essere sé stessi e i propri pazienti. 

Nel caso del burnout, ad esempio, il modello ART potrebbe essere usato per:

  1. Riconoscere un sentimento o una ferita che necessita di una guarigione: in questo step è importante chiedere a te stesso se ti piace andare a lavoro o meno in questo momento. Se la risposta è no, bisogna esplorare il motivo. Prova, ad esempio, a fare una lista di tutte le cose che non ti piacciono e a vedere se stai presentando alcuni sintomi tipici di burnout (sentimenti, comportamenti e sensazioni fisiche citati prima). 
  2. Riconoscere la tua possibilità di scegliere e intraprendere azioni mirate: il proposito di questo step è pensare alle scelte che puoi fare per migliorare la tua situazione e la condizione dei tuoi pazienti. Una volta scelto il miglior percorso, è ora di intraprendere azioni in linea con quest’ultimo. 
  3. Rivolgersi verso te stesso e gli altri: in questo ultimo step passerai a dare più attenzione ai tuoi sentimenti e ai sentimenti dei tuoi pazienti. La chiave è cercare un equilibrio tra la tua vita professionale e personale.

L’autrice finisce il libro parlando dell’importanza di creare una “collective mindful awareness”, termine che in italiano vuol dire “consapevolezza collettiva”. Questo significa che quando iniziamo a pensare e a prenderci cura degli altri (non solo dei pazienti, ma anche dei colleghi di lavoro) possiamo evitare fenomeni come la compassion fatigue e il burnout, ed aiutare a creare un’ambiente di lavoro più sano, felice e umano per tutti. Infatti, Todaro-Franceschi sottolinea che il training di compassione dovrebbe essere già presente nelle università, dal momento che può apportare numerosi benefici alla professione infermieristica. Lei ci consiglia, inoltre, di provare sempre a sviluppare le nostre capacità di visualizzare e costruire nuove realtà, perché sono queste che ci porteranno a un futuro migliore. Imparare a guardare le cose per come potrebbero essere ci dà la motivazione per credere nel cambiamento e per perseguirlo. 

Andreghetti Gabriela

Bibliografia

Blum, L. Compassion. (1980). In A. M. Rorty (Ed.). Explaining emotions (pp. 507–517). Berkeley, CA: University of California Press. 

Corley, M. C. (2002). Nurse moral distress: A proposed theory and research agenda. Nursing Ethics, 9(6), 636–650.

Figley, C. R. (2002a). Compassion fatigue: Psychotherapists’ chronic lack of self care. Journal of Clinical Psychology, 58(11), 1433–1441. 

Maslach, C. (1993). Burnout: A multidimensional perspective. In W. B. Schaufeli, C. Maslach, & T. Marek (Eds.), Professional burnout: Recent developments in theory and research (pp. 19–32). Washington, DC: Taylor & Francis. 

Jameton, A. (1984). Nursing practice: The ethical issues. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. 

Stamm, B. H. (2010). The ProQOL (Professional Quality of Life Scale: Compassion Satisfaction and Compassion Fatigue). Pocatello, ID: ProQOL.org. Retrieved from www.proqol.org. 

Schmalenberg, C., & Kramer, M. (2008). Clinical units with the healthiest work environments. Critical Care Nurse, 28(3), 65–77. 

Todaro-Franceschi V. (2013). Compassion fatigue and burnout in nursing: Enhancing professional quality of life. New York: Springer Publishing Company.

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