“Non faccio affidamento sulle parole” – Cal Lightman (Lie To Me)
Facce che parlano
Quando si parla di comunicazione non verbale, è inevitabile lasciarsi suggestionare da alcune serie TV molto popolari negli ultimi anni, nelle quali i protagonisti sembrano praticamente capaci di leggere nel pensiero degli interlocutori svelando facilmente ogni menzogna (tra cui possiamo citare Lie To Me, The Mentalist, Dexter…). Al contempo, quando si pensa alla psicoterapia, immaginiamo un setting molto tradizionale in cui il paziente si racconta con le parole e il terapeuta gli fa domande. Come si coniugano questi due aspetti apparentemente molto distanti nell’universo della comunicazione umana? Scopriamolo insieme, cominciando ad esplorare uno degli aspetti fondamentali della comunicazione non verbale, le microespressioni facciali.
La comunicazione non verbale incarna perfettamente il famoso assioma espresso da Paul Watzlawick nel suo celebre saggio Pragmatica della Comunicazione Umana: “non si può non comunicare”. In tutte le conversazioni che avvengono faccia a faccia comunichiamo con il corpo, ma abbiamo un’espressione che comunica qualcosa a chi ci sta osservando, anche nelle situazioni di vita quotidiana in cui non avvengono conversazioni, ma semplicemente siamo.
Il Facial Action Coding System
Un settore così interessante e ricco di applicazioni pratiche è stato ovviamente esplorato in lungo e in largo dalla psicologia sperimentale; lo psicologo più celebre in questo settore di ricerca è senza dubbio Paul Eckman, a cui è ispirato proprio Cal Lightman, il protagonista della celebre serie Lie To Me. Negli anni ’70, Eckman e il suo collega Frieser hanno osservato per migliaia di ore di registrazione, cercando di cogliere tutto il possibile riguardo alla codifica delle espressioni facciali. Ciò che riuscirono a focalizzare fu poi messo alla prova durante altre migliaia di ore di esperimenti con attori, telecamere e registrazioni proiettate al rallentatore, per giungere infine a creare il FACS (Facial Action Coding System), il sistema di codifica delle micro-espressioni facciali che è tutt’ora considerato lo standard a livello internazionale.
Ma a livello pratico, in cosa consiste? La nostra mimica è creata dalla combinazione di diversi muscoli facciali, che Eckman ha diviso in diverse Unità di Azione. Queste unità possono avere diversi livelli di intensità di attivazione, e presentano cambiamenti di aspetto di diverso tipo. Quando abbiamo dipinta sul volto un’espressione qualsiasi, ci sono diverse Unità d’Azione coinvolte: qualcosa succede sia nella parte superiore della faccia che in quella inferiore, e i muscoli possono contrarsi in senso orizzontale, obliquo, verticale… le espressioni spontanee coinvolgono troppi muscoli, talvolta attivati con un semplice guizzo, perché sia possibile simularle. Si possono controllare volontariamente tutti i muscoli del viso, ma non tutti insieme. Gli attori sono in grado di farlo, dopo anni di esercizio specifico, ma anche per loro sarebbe impossibile simulare in maniera perfetta delle emozioni al di fuori del set, quando la loro vita reale è coinvolta.
Tutti noi simuliamo o dissimuliamo quotidianamente le emozioni, e tutti noi abbiamo sicuramente presente il concetto di “sorriso finto” o “sorriso di circostanza”. Il sorriso è un elemento che attrae molta attenzione su di sé, perciò è il più utilizzato quando si vuole dissimulare l’emozione sottostante. In un primo momento funziona, ma se per caso capita di immortalarne uno con foto o video, la differenza tra un sorriso di autentica contentezza è lampante. Il “sorriso finto” rappresenta un caso plateale di espressione simulata che quasi tutti siamo in grado di riconoscere piuttosto facilmente. Il sistema FACS si basa sull’analisi e sulla decodifica di micro-espressioni, estremamente più sfuggenti e difficili da interpretare; in questi casi, la differenza tra un’espressione di disgusto e una di paura può essere stabilita da un guizzo dei muscoli sotto l’occhio unito a un’angolazione un po’ più obliqua dei muscoli della zona naso labiale.
Il FACS viene utilizzato da decenni con successo in ambito criminologico, e negli ultimi anni grazie all’evoluzione della tecnologia si stanno studiando nuove applicazioni: molti ricercatori stanno lavorando su metodi computerizzati di analisi dei comportamenti facciali attraverso metodi di codifica automatica basata sul FACS. Nonostante i progressi della ricerca in tal senso, si tratta di sistemi che non potranno soppiantare l’analisi eseguita da professionisti, quantomeno nel futuro prossimo, poiché le variabili in gioco sono un numero difficilmente programmabile per una macchina, tenendo conto anche delle variabili contestuali e personali che esercitano un peso notevole.
La comunicazione non verbale in psicologia clinica
Oltre all’analisi delle micro-espressioni facciali, per decodificare il “non detto” risultano molto utili l’analisi della postura e della voce; mentre le parole sono facili da controllare, la voce spesso tradisce, esattamente come si può stampare un sorriso in faccia quando gli occhi dicono tutt’altro. In televisione vediamo queste capacità di analisi del non-verbale come particolarmente utili in situazioni giudiziarie o criminose. Si tratta senza dubbio di scenari realistici; tuttavia, queste capacità risultano un bagaglio preziosissimo anche per gli psicologi clinici. Rendersi conto di quando il paziente omette certe informazioni, individuare spie di emozioni iper-controllate che vengono abilmente nascoste da discorsi perfettamente rodati, poter sospettare con ragionevole certezza quando si è messi di fronte a una bugia… sono tutte situazioni in cui avere una consapevolezza ulteriore, come psicologo, permette di fare bilanci più accurati sulla qualità della relazione terapeutica e sull’effettivo portato emotivo di eventi che attraverso le parole potrebbero essere minimizzati. Ovviamente si tratta di valutazioni che non possono prescindere da un’analisi molto ponderata del contesto e della persona che ci si trova davanti, poiché anche nell’espressività le persone sanno essere molto diverse. Si tratta comunque di tecniche che possono fare la differenza per le persone che si rivolgono ai terapeuti, paradossalmente andando in questo modo anche oltre al “leggere nel pensiero” per capire se la persona dice o no la verità.
Dott.ssa Lucrezia Guiotto Nai Fovino
Bibliografia
– Ekman, P. (1989) I volti della menzogna. Firenze. Giunti Editore spa
– Ekman, P. & Friesen, W.V. (1978) The Facial Action Coding System. Palo Alto, Consulting Psychologists Press