Diventare mamma è un periodo particolare della vita di una donna. Si trova a fare spazio ad un altro essere dentro di sé, non solo fisicamente ma anche a livello simbolico. Infatti, a partire dai primi mesi di gravidanza, ancor prima che la madre riesca a percepire il feto, per esempio nei movimenti, entra in relazione con il proprio bambino, prima con pensieri, fantasie, aspettative, desideri, paure, ricordi e poi inizia a percepirlo, a sentirlo; lentamente il feto prende forma, occupa un nuovo spazio. Il legame profondo che si crea tra una madre e un figlio ha inizio, quindi, ancor prima di avere la possibilità di stringerlo tra le braccia e si protrae per il resto della vita. D. Winnicott l’ha definito “preoccupazione materna primaria o sintonizzazione affettiva”. Se tutto va come previsto, e quindi l’attesa di un bambino è un momento gioioso e sereno di cambiamento nato prima nei pensieri condivisi della coppia e poi nel corpo materno, l’investimento affettivo primario origina e si consolida già durante il periodo della gravidanza e rappresenta uno dei fattori che pone le basi per il rapporto futuro dei genitori con il proprio bambino. Ma è anche il primo segnale di come la sintonizzazione emotiva rappresenti quel nido caldo dove essere accolti e fare esperienza della propria esistenza. Essere riconosciuti, ascoltati, sentiti e contenuti permette, infatti, di costruire la base sicura per una crescita sana. Questa “comunicazione” senza parole tra mamma e bambino, si colora grazie all’uso della voce. Infatti parlare al feto è un comportamento che può accrescere e migliorare la connessione emotiva, tra madre e bambino (e tra padre e bambino), che poi continuerà e aumenterà nel post nascita.
Comunicazione-connessione tra madre e bambino in grembo
Nell’utero materno si vivono alcune delle più arcaiche Esperienze Basilari del sé (Rispoli, 2004): si vive per lungo tempo e totalmente la condizione dell’essere contenuti. La voce è una parte importante del sistema di relazione e di comunicazione tra la madre e il bambino, già da prima che della nascita. Il feto è già avvolto in un mondo di suoni che vanno dal battito cardiaco della madre ai suoi movimenti gastrointestinali, ai suoni e alle voci dall’esterno. Quando è ancora nel grembo materno il bambino è innanzitutto educato alla lingua parlata di una certa cultura: quindi leggere, ascoltare musica o cantare sono forme di inculturazione per il feto. Ma, attraverso la voce, tra madre e bambino si crea un’interazione molto intima, privata: potremmo dire la prima vera relazione intima che costruiamo e che permette di conoscersi reciprocamente, di cogliere l’altro come “entità separata” con propri bisogni, emozioni, affetti, paure, ambizioni, umori, reazioni e azioni. In una ricerca svolta in Corea del sud, pubblicata nel 2004, si è voluto sperimentare un programma di promozione dell’interazione madre-feto, che prevedeva il parlare e stimolare col tatto, al fine di migliorare la sensibilità della donna alla sua prima gravidanza. Sono state reclutate cinquanta primipare da ospedali e cliniche (di cui 26 nel gruppo di intervento) ed sono stati utilizzati un post-test e monitoraggi costanti: il programma prevedeva l’intervento infermieristico volto a stimolare l’interazione della madre col feto parlandoci e accarezzando la pancia con certe sequenze di tocco. I dati analizzati e raccolti durante l’arco di un anno, hanno portato come risultato una differenza significativa tra i due gruppi, con un attaccamento materno maggiore nel gruppo sperimentale: il programma di intervento è quindi efficace nel migliorare l’attaccamento madre-bambino tanto che anche dopo il parto il grado di interazione con i genitori era più alto. Questa ricerca mette in luce quanto può essere utile servirsi dei sensi ma soprattutto della voce per la formazione della relazione madre-bambino e per la promozione dello sviluppo sociale, affettivo e cognitivo dei bambini.
Percepire l’Altro, e come Altro da sé, permette di stabilire una sintonizzazione autentica e accrescitiva della diade madre-bambino. Parlare al feto, dunque, oltre all’effetto intrinseco del fare imparare a conoscere e ricordare i suoni di una cultura e di una lingua, favorisce un ambiente accogliente e sicuro al bambino che nascerà: un punto di riferimento nel mondo. Dato che neanche da neonati riescono a cogliere ancora il significato delle parole, è un rapporto per così dire “musicale”, quindi una memorizzazione delle caratteristiche musicali del parlato, della prosodia e delle emozioni che la voce può trasmettere. La voce materna in più è impattante positivamente sullo sviluppo del cervello (Fifer W.P., Moon C.M., 1994) e l’assenza della voce materna può, non a caso, causare compromissioni nello sviluppo, non solo del sistema uditivo e della funzione dell’ascolto, ma determinare anche varie alterazioni del sistema nervoso centrale che possono compromettere la comunicazione tra madre e figlio (Galvani, 2019).
Parlare al neonato per riconoscerlo e sintonizzarsi
Questo genere di connessione ha una sua continuità quando il bambino nasce. Il neonato riconosce la voce umana, ancora di più quella della mamma da cui ne è naturalmente attirato e guidato. Ora che il bambino è al mondo le interazioni con lui sono più dirette, oltre che più frequenti e intense, sia col tocco che con gli sguardi e la voce. La voce dei caregivers e degli adulti in generale, quando si rivolgono al neonato, subisce una trasformazione diventando quella che viene chiamata “baby talk”. Con questo termine ci si riferisce al modo di parlare utilizzato da qualunque adulto significativo per rivolgersi al bambino: presenta una modificazione della qualità della voce e dell’intonazione che appare più alta, c’è poi un aumento del ritmo e dell’emotività. Ma la madre, nello specifico utilizza una modalità ancora diversa col proprio bambino, chiamata poi col termine “motherese”. Sembra infatti che il modo in cui si rivolga la madre al suo bambino sia ancora diverso dai modi del padre o di altre persone, con una prosodia ancora più marcata. Una ricerca del 2007 ha dimostrato con un semplice esperimento quanto può essere rilevante il motherese sullo sviluppo socioaffettivo del neonato. Saito Y. e collaboratori hanno fatto leggere a delle mamme un estratto della favola di Cappuccetto Rosso al proprio bambino usando la modalità che usavano con loro (motherese) e la modalità che avrebbero usato con un adulto e le registrazioni della madre erano l’unico suono che ciascun neonato aveva nella stanza: a questi ultimi è stata misurata la risposta cerebrale tramite sensori sulla fronte. Hanno osservato che durante l’ascolto della registrazione in motherese vi era un aumento del flusso cerebrale nella corteccia orbito frontale destra, emisfero che è coinvolto maggiormente nei processi emotivi e poi nell’intelligenza emotiva. Le prime interazioni comunicative si hanno durante l’allattamento in cui la madre ad ogni pausa dalla suzione accarezza e parla al bambino, anche se i veri scambi comunicativi che coinvolgono la diade si può dire avvengano dai 3 mesi con una alternanza di turni di semplici vocalizzi: quest’ultimo prende il nome di “turntaking” visto che l’alternarsi lo fa sembrare una vera e propria proto-conversazione (Boysson-Bardies,1999). È quindi attraverso la voce che la sintonizzazione emotiva si intensifica tra madre e bambino: attraverso la sintonizzazione emotiva il bambino si sente visto, riconosciuto…si sente al sicuro! Ed una mamma che sente di essere sintonizzata con il proprio bambino sarà serena, felice della sua relazione e pronta ad accompagnarlo positivamente nella sua crescita. Fare esperienza di questa modalità, abbandonarsi all’intimità è un privilegio che va insegnato fin da piccolissimi, prima con il contatto fisico e progressivamente attraverso altre modalità relazionali, come abbiamo visto la voce. C’è da riconoscere in ultimo che, sebbene quando nasca un bambino, tutto l’equilibrio della famiglia si piega ai bisogni del piccolo, i caregivers non possono stare 24/24 a contatto col piccolo, ma la voce ha il potere di calmare, rallegrare e trasmettere protezione e la sicurezza della vicinanza in ogni momento: come facevano le madri antenate che impegnate nel raccogliere le bacche parlavano ai loro bambini posati tra i cespugli, così fanno oggi le mamme in smartworking.
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Bibliografia
Fifer, W.P., Moon, C.M. (1994) The role of mother’s voice in the organization of brain function in the newborn. Acta Paediatrica supplement, 397, 86-93
Galvani, F. (2019). Psicologia della Voce e del Canto: Dalle neuroscienze alle applicazioni cliniche.
Rispoli, L. (2004). Esperienze di base e sviluppo del sé: l’evolutiva nella psicoterapia funzionale. F. Angeli.
Saito, Y., Aoyama, S., Fukamoto, R., et Al. (2007). Frontal celebral flow change associated with infant-directed speech. Archives of Disease in Childood. Fetal and Neonatal Edition, 92, 113-116.
Kim, J. S., & Cho, K. J. (2004). The effect of mother-fetus interaction promotion program of talking and tactile stimulation on maternal-fetal attachment. Child Health Nursing Research, 10(2), 153-164.
Dearca Beatrice