Come una mamma arriva all’esaurimento emotivo

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Il burnout, sindrome centrata sulla percezione di “esaurimento” delle risorse personali necessarie a fronteggiare situazioni prolungate di emozioni faticose e stressanti, è generalmente studiato in contesti lavorativi, ma negli ultimi anni c’è stata crescente attenzione verso l’insorgenza di questo fenomeno nella genitorialità: si parla quindi di burnout genitoriale quando un individuo arriva ad essere fisicamente ed emozionalmente sopraffatto dall’impegno del ruolo genitoriale.

Aspetti caratteristici:

  • Spossatezza fisica ed emotiva
  • Distanziamento emotivo dai propri figli
  • Senso di incompetenza rispetto al ruolo genitoriale

Uno studio di Hubert, e Aujoula del 2018 ha cercato di descrivere questo fenomeno attraverso un’intervista fenomenologica interpretativa, metodologia specifica per l’indagine del significato attribuito in prima persona al vissuto oggetto di studio. Sono state selezionate solo madri per omogeneità del campione, che fossero a più di 18 mesi dal parto (per escludere confusioni con depressione post-partum), non incorse in sindromi di burnout professionale né episodi depressivi generalizzati.

L’analisi e l’interpretazione del contenuto delle interviste ha rivelato una tematica centrale, trasversale a tutti i vissuti raccontati delle partecipanti: la paura.

La paura di non essere buone madri

L’inizio di queste storie è tendenzialmente lo stesso: la strada che arriva all’esaurimento parte da un eccessivo investimento di energie sul ruolo materno. Le madri in burnout raccontano di come fossero spinte da uno spirito di perfezionismo, nel volersi sempre sentire delle supermadri, cercando di gestire quotidianamente i bisogni e gli impegni dei figli, la cura della casa e la logistica familiare, oltre ai loro impegni personali. Il perfezionismo è vissuto, in alternativa, come una costante dubbio sulle proprie qualità e capacità di madre.  Questa modalità viene associata a una forte pressione autoimposta a realizzare le aspettative sociali sulla genitorialità, spesso anche esagerate. Tutto ciò conduce queste madri a cercare sempre di anticipare i bisogni dei loro figli, a preoccuparsi preoccupano molto per il loro futuro, al punto di divenire incapaci di stare bene con loro nel presente.

La paura di “disimparare” il controllo

Il sovraccarico porta le madri ad uno stato di frustrazione e irritazione prolungato e continuo. Le intervistate riportavano come il costante affaticamento fisico ed emotivo iniziasse a manifestarsi come sintomi somatici, e soprattutto, le avesse condotte ad uno stato di “sopravvivenza in pilota automatico”, quindi una difficoltà a seguire le loro attività e pianificazioni a lungo termine, una tendenza a non tollerare cambiamenti ed imprevisti, togliendo così spazio anche a creatività ed improvvisazione. Così si arriva a perdere il contatto con i figli, a non riuscire a più a stare con loro nel gioco o in un ascolto sereno ed empatico, nei momenti più frustranti anche a non tollerare le emozioni in loro presenza: alcune madri raccontano di difficoltà a controllare l’aggressività, di aver avuto scatti d’ira o modalità violente nelle interazioni, a cui seguivano forti rimorsi e vissuti di colpa, spesso anche fino a pensieri di suicidio.

La paura annessa all’esperienza di un senso del Sé discontinuo

Le interviste mettono in evidenza come questi stati di forte autocritica, di odio verso sé stesse, successivi alle perdite di controllo, siano tra le esperienze più traumatiche vissute dalle madri. I pensieri critici arrivano ad attaccare l’essenza della persona, con dubbi sulla propria padronanza e conoscenza di sé stessi, portando ad avere paura di alcune parti di sé. Il senso di colpa comincia ad essere generalizzato, non più legato ad episodi specifici, e la vergogna porta a non cercare più sostegno nei legami affettivi, ad isolarsi, tagliando così fuori altre risorse e generando un profondo senso di solitudine.

Come tratteggiato da quest’analisi delle interviste, l’esperienza dell’esaurimento genitoriale è complessa e dà luogo a gravi sofferenze. Centrale, come si è visto, è la paura di non essere madri adeguate. Rispetto a questo, le autrici dello studio richiamano il concetto formulato da Winnicott di “madre sufficientemente buona”, concepito originariamente proprio per descrivere come, nell’unicità di ogni situazione familiare, la maggior parte delle madri fanno un lavoro “buono abbastanza” nel prendersi cura dei loro figli, laddove riescano, più di ogni altra cosa, a relazionarsi positivamente con loro e a godersi il tempo passato assieme, senza lasciare che le preoccupazioni per il futuro oscurino l’attenzione al momento presente. Infine, tra le indicazioni rispetto ad interventi psicologici di sostegno alla genitorialità in crisi, oltre ovviamente al ripristino o potenziamento delle risorse familiari ed extrafamiliari, una considerazione particolare alla capacità di queste madri “accedere” alle proprie risorse interiori: l’affaticamento emotivo (e quindi fisico) infatti, spesso è legato a difficoltà nel riconoscere, comprendere, usare ed esprimere le proprie emozioni, competenze legate al costrutto di Intelligenza Emotiva, e fondamentale per la cura di sé quanto dei figli.

Edoardo Di Giulio

 

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Hubert, S., & Aujoulat, I. (2018). Parental Burnout: when exhausted mothers open up. Frontiers in psychology, 9, 1021

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