Grassofobia: una “paura” del ventunesimo secolo

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Grassofobia. Letteralmente paura del grasso. Come si esprime praticamente questa paura? Con il termine grassofobia (dall’inglese “fat phobia”) si fa riferimento agli atteggiamenti negativi e agli stereotipi nei confronti delle persone in sovrappeso o in condizione di obesità.

Il termine fat phobia è di recente concettualizzazione, ma è un atteggiamento che esiste da molto tempo: nell’epoca moderna sembra aver assunto un ruolo diverso rispetto al passato. L’evoluzione storica del modo di concepire ciò che è grasso ci mostra che l’obesità assume una connotazione positiva o negativa in base alla funzione che assume in un determinato momento.

Infatti, “i nostri corpi, non meno di qualsiasi altra cosa che sia umana, sono costituiti dalla cultura” (Bordo, 2003).

Basti pensare che nel paleolitico l’obesità rappresentava la fertilità; al contrario, nell’antica Grecia era scongiurata in favore di un corpo atletico; nell’epoca romana la corpulenza era indice di benessere e affermazione del proprio stato sociale; nel medioevo, invece, l’alimentazione aveva una valenza peccaminosa; nel Rinascimento indicava l’incapacità di controllare i propri impulsi.

Con la prima industrializzazione e il conseguente cambiamento delle condizioni socioeconomiche, si raggiunge un alto livello di benessere alimentare. Questo benessere si arresta con le privazioni del cinquantennio di guerre e dittature, alla fine del quale si diffondono i consumi di massa in una società che non vuole più limiti e restrizioni alimentari. L’ubiquità rende un cibo accessibile e consumabile, superando ogni confine e qualunque regola che organizza il tempo dei pasti, cancellando il bisogno di un luogo deputato all’alimentazione e offrendo la possibilità di soddisfare immediatamente e senza attese l’appetito. Questi aspetti definiscono una società globalizzata e consumistica e l’obesità ne diventa un’espressione.

Obesità: responsabilità personale o questione sociale?

L’obesità oggi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo: questo fenomeno prende il nome di “epidemia di obesità”.

L’altra faccia della globesità (“epidemia di obesità”) è la lipofobia: chi non corrisponde all’immagine condivisa di magrezza è evitato, discriminato e colpevolizzato. L’individuo viene socialmente designato come responsabile primario del benessere o del malessere del proprio corpo. Così, in una concezione grassofobica, il grasso corporeo non è “soltanto” materia o un fattore di rischio per la salute, ma acquisisce un significato diverso: esso riflette una propria debolezza morale. Come risultante, l’obesità trova spiegazione nella mancanza di volontà, di autocontrollo e di autodisciplina della singola persona, in intrinseche ragioni psicologiche e, di conseguenza, in comportamenti quali mancanza di esercizio fisico e eccessiva assunzione di cibo.

La condizione di obesità, fisiologicamente, ha diverse ripercussioni sulla salute e aumenta il rischio di sviluppare delle condizioni patologiche. Già in passato la persona grassa veniva definita come pigra, insaziabile, immorale, senza controllo, senza forza di volontà, tuttavia non vi era un’esplicita preoccupazione per i problemi di salute a cui l’obesità era ed è associata.

Infatti, è negli ultimi due decenni che l’aumento delle persone in condizione di obesità è stato percepito come un problema sociale rilevante. Dunque, l’attuale “epidemia dell’obesità” e la sua diffusione a partire dalla metà del secolo scorso, è connessa all’atteggiamento occidentale verso il corpo, ad un aumento della bio-medicalizzazione e alla pervasione di una cultura che implica l’universalizzazione delle esperienze vissute. Quest’ultimo aspetto è espresso soprattutto attraverso i mass media, in cui la femminilità diviene sempre più standardizzata tramite la trasmissione di immagini visive omogeneizzanti; esse suggeriscono quali vestiti, corpo, espressione facciale, movimenti e comportamento sono richiesti e socialmente apprezzati.

Le dimensioni e la forma del corpo sono oggi diventate un simbolo dello stato emotivo, morale o spirituale dell’individuo. Il corpo sodo è diventato indice di un atteggiamento corretto, di una “preoccupazione” per sé stessi, suggerendo presenza di forza di volontà e controllo. La ricerca incessante di una magrezza “eccessiva” è quindi un tentativo di incarnare determinati valori.

Da qui la diffusione di comportamenti alimentari restrittivi, diete ferree e nascita di manifestazioni patologiche: ad esempio, l’ortoressia è un disturbo sviluppatosi recentemente in seguito alla maggiore attenzione che la nostra società dedica al mangiare sano e all’espansione di filosofie di vita salutiste. Questo tipo di problematica è connotata da una dieta molto restrittiva, con l’eliminazione totale di alcuni gruppi di alimenti, come le farine raffinate, gli zuccheri, i prodotti con conservanti, o qualsiasi altra tipologia di sostanze ritenute nocive per la propria salute.

Quali ripercussioni ha la grassofobia?

Gli atteggiamenti che prendono il nome di grassofobia possono incidere in modo negativo, diretto o indiretto, sulla vita dei bambini e degli adulti. I pregiudizi, infatti, influenzano profondamente le modalità con cui ci si rapporta alle persone a cui essi sono rivolti.

Alcune conseguenze dirette sperimentate dai bambini riguardano le prese in giro o la possibilità di fare amicizia; negli adulti, invece, si riscontrano meno opportunità lavorative e meno probabilità di coinvolgersi in relazioni sentimentali e attività sessuali.

Da alcuni studi è emerso che le persone obese vengono valutate più negativamente rispetto a quelle non obese, ad esempio meno attrattive. La diffusione di questi atteggiamenti nella società causa, in modo indiretto, un’interiorizzazione dei messaggi negativi da parte delle persone a cui sono rivolti: ne risulta che esse si autoimpongono delle restrizioni in diverse aree di vita rilevanti (andare a scuola, cambiare lavoro). La diminuzione di queste attività, anche piacevoli, risulta essere associata ad alti livelli di depressione.

Infine, queste persone devono da una parte affrontare i problemi di salute fisica, e dall’altra le pressioni derivanti da atteggiamenti attribuibili alla fat phobia. Il raggiungimento di questi obiettivi è ostacolato dai pregiudizi delle figure professionali con cui queste persone entrano in contatto, come medici, infermieri, nutrizionisti. Ad esempio, non vengono loro offerte le migliori cure disponibili a causa del weight bias”, la convinzione cioè (da parte del personale sanitario) che i loro problemi derivino sempre e solo dal peso eccessivo. Questo atteggiamento porterebbe le persone a non cercare cure mediche per i propri disturbi, con ricadute negative per la salute generale.

Concludendo, una questione aperta sull’argomento riguarda la possibilità che le preoccupazioni per la salute delle persone obese nascondano in realtà una tendenza grassofobica della società odierna.

Laura Somma

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