Le citazioni di seguito sono state riportate da persone che soffrono del Disturbo di Derealizzazione e Depersonalizzazione, per descrivere la propria condizione.
“Quando cammino mi sento ondeggiante, sembra che il pavimento si muova. È come se non riuscissi a connettermi normalmente con le persone a un livello mentale. Non sento niente. Penso di stare impazzendo.”
“Non so chi sono – certo, sono **** ma mi sento come un robot, come se stessi guardando me stessa dall’esterno, ma sono io…solo che non sembra così. Passo tutto il giorno cercando di capire che cos’è. Niente mi fa stare meglio, ma stare con gli altri mi fa stare peggio.”
“Non sento niente. Non ho mai sentito niente. Non dolore, non ansia, non felicità, non sono depressa – non sono niente.”
Cosa sono derealizzazione e depersonalizzazione?
Derealizzazione (DR) e depersonalizzazione (DP) sono delle manifestazioni sintomatiche che possono svilupparsi in una sindrome, classificata dal DSM-5 sotto la macro-area dei disturbi dissociativi. Tali disturbi sono caratterizzati dalla sconnessione o discontinuità dell’esperienza di sé e del mondo e si riscontrano frequentemente in seguito a un evento traumatico.
Con il termine sé si intende un’integrazione tra esperienze soggettive e relazionali, che fanno sì il soggetto si trovi costantemente a contatto con il mondo esterno allo stesso tempo modificandolo e venendone modificato. Nel momento in cui il senso del sé si altera vi è una dissociazione, e le varie aree della percezione, del sentire, del pensiero e dell’immaginazione non si trovano più sincronizzate (Correale, 2010).
DR e DP sono appunto caratterizzate dal sentirsi distaccati dal proprio sé, dagli altri e dal mondo circostante, provando sentimenti di estraneità, irrealtà o distacco. Spesso le persone che ne soffrono riportano di sentirsi robotiche, con meno controllo su di sé, divisi in una parte che osserva e una che partecipa, come se ci fosse un vetro o una bolla attorno a loro. Possono avere percezioni visive, uditive, temporali e dei ricordi soggettivi distorti.
Il 50% degli adulti ha fatto esperienza di questi sintomi una volta nella vita e il 2% della popolazione ne ha sofferto come disturbo. Per la maggior parte delle persone il disturbo insorge prima dei 25 anni e riportano come fattori precipitanti principali stress, ansia, depressione o uso di sostanze psicoattive. Spesso tale sindrome dura per diversi anni o anche tutta la vita. Tra i fattori di rischio più comuni vi è l’aver avuto traumi interpersonali nell’infanzia.
Ciò che intendiamo con il termine trauma è qualcosa di impensabile, inelaborabile, che sconvolge l’esistenza della persona che ne fa esperienza, rimanendo imprigionato come un corpo estraneo nella sua economia interna.
Finché non viene fatto un lavoro di assimilazione e smaltimento di questa esperienza, resta attiva una sorta di forza attrattiva che spesso fa sì che altre situazioni possano essere lette e plasmate in modo analogo, o che possano esserci delle conseguenze sintomatiche, senza che la persona abbia alcun controllo o consapevolezza su questo processo. Diventa quindi una situazione esistenziale complessa e disfunzionale.
Nel caso di DP e DR, viene ipotizzato (Renik, 1978) che insorgano nel momento in cui il ricordo sensato del trauma e del suo significato si avvicina troppo alla consapevolezza, in una condizione personale in cui il soggetto non è pronto ad affrontarne le conseguenze. Prendere consapevolezza spesso significa dover cambiare radicalmente, e questo processo può essere molto complicato e doloroso.
In extremis, dunque, il meccanismo messo in atto per allontanarsi dai contenuti disturbanti coinvolge l’attenzione: quando non è possibile rimuovere e dimenticare, si sposta l’attenzione. DP e DR sono caratterizzate da sensazioni estremamente distopiche, che costringono la persona a uno sforzo cognitivo per cercare di controllarle. Spesso chi prova questa esperienza formula un giudizio sull’estraneità della condizione, che porta lontano da quanto l’ha scatenata.
Per Correale (2010) a questo punto subentra la scissione: pensieri, sensazioni, percezioni e presentimenti non sono più collegati, e il trauma può continuare a restare un buco di non pensiero.
La correlazione con l’ansia
In quanto sintomi isolati, derealizzazione e depersonalizzazione si trovano anche negli episodi acuti dei disturbi di panico e depressivi, così come nei prodromi di un disturbo psicotico, ma in tal caso non si tratta di manifestazioni sintomatiche che prendono rilevanza sulle altre e non perdurano nel tempo.
Numerosi articoli e il DSM-5 stesso, riportano una frequente correlazione con disturbo depressivo e disturbi d’ansia, tuttavia la correlazione sembra più complessa di una semplice causalità.
L’insorgenza di DP e DR, infatti, può essere innescata da un precedente stato di grande stress e ansia, spesso correlato a un evento traumatico o a una sua ripetizione, che mette a rischio il senso del mondo fino a quel momento conosciuto. È come se in quel momento non bastasse più una risposta difensiva in cui il sé resti a contatto con l’elemento che ha causato la necessità di difendersi, ed entra in campo il distacco dal senso della realtà. È un compromesso tra il desiderio di star solo sognando (Arlow, 1966) e la necessità di restare in stato di veglia e in contatto con il mondo esterno. Una ritirata al centro di sé, che mantiene il senso dell’esistere intatto, nonostante il mondo tremi.
A tal proposito Sierra et al. (2012) trovano una comorbidità frequente tra i disturbi d’ansia e derealizzazione e depersonalizzazione a bassa o media intensità, mentre si riduce la correlazione quando diventa un disturbo ad alta intensità.
Spiegano questo risultato asserendo che nel momento in cui i sintomi diventano un disturbo, è più difficile per il soggetto riconoscere l’ansia, in quanto si distacca dalle sue percezioni. Ipotizzano anche che il disturbo di derealizzazione e depersonalizzazione sia un modo più estremo per gestire i contenuti che generavano lo stato ansioso. È infatti clinicamente osservato che nel momento in cui vi è una remissione di questi sintomi, tornano quelli dell’ansia.
La confusione con disturbi psicotici
Come accennato in precedenza, a primo acchito derealizzazione e depersonalizzazione possono apparire come indice di un disturbo psicotico, tuttavia, così come delle somiglianze, ci sono delle cruciali differenze tra i due disturbi.
Le caratteristiche comuni sono: una diminuzione di cura di sé – in quanto è perturbato il senso di esistere e di avere presa sul mondo avendo un’esperienza di sé limitata – e l’iperriflessia – una sorta di esagerata attenzione su processi o parti di sé che solitamente sono considerati come normali e automatici.
Ma anche in queste stesse caratteristiche, vi sono differenze nelle due condizioni. Nella psicosi, sono conseguenti alla sensazione di starsi disgregando che porta a cercare di aggrapparsi a ogni dettaglio concreto, senza riuscire bene a tenere il controllo sulla situazione generale; in DR e DP invece, vi è la necessità di tenere sotto controllo ogni percezione per continuare a spostare l’attenzione dall’elemento traumatico.
Invece per quanto riguarda le differenze: prima ti tutto nel disturbo di derealizzazione e depersonalizzazione, resta intatto l’esame di realtà e i fenomeni dispercettivi sono limitati alla superficie e ricondotti solo a esperienze soggettive. Un’altra differenza importante è che in questo disturbo il soggetto teme di stare impazzendo, mentre nel prodromo di un disturbo psicotico, non si pone questa domanda.
Inoltre, cambia il modo in cui i pazienti parlano della loro condizione. Nonostante derealizzazione e depersonalizzazione alterino il senso percettivo della realtà, chi ne è affetto usa un linguaggio che indica mentalizzazione. Come ho sottolineato nelle citazioni iniziali, nel descrivere questa condizione sono comuni espressioni tipo come se e sembra che, che indicano un’intatta consapevolezza del fatto che non sia un fatto concreto e condivisibile, bensì una percezione personale.
Possibilità terapeutiche per derealizzazione e depersonalizzazione
Secondo i trial controllati e randomizzati di farmacologia e psicoterapia non vi sono evidenze coerenti su come trattare il Disturbo di Derealizzazione e Depersonalizzazione.
Spesso vengono somministrati famaci ansiolitici e antidepressivi, ma, sebbene agiscano sui disturbi di ansia e umore correlati, non riducono la dissociazione.
Renik (1978) riporta che è difficile – tuttavia possibile – trattare la depersonalizzazione con la terapia psicoanalitica, in quanto il collegamento con il trauma non è così diretto. Stando alla teoria dello spostamento dell’attenzione, il sintomo risponde a un’urgenza così insistente di non venire a contatto con gli eventi – e le consapevolezze collegate – che l’hanno reso necessario, che viene sacrificato il benessere generale in favore di questa disattenzione.
Come riportato da Correale (2010), nella derealizzazione e nella depersonalizzazione, vi è un distaccamento dal mondo della percezione, e un rifugio in extremis in quello mentale. Una sorta di ritiro nel bunker di sé stessi. Questa peculiarità, rende ipotizzabile l’utilità della terapia funzionale-corporea per trattare questo genere di disturbo, tornando a un’integrazione dei vari livelli. Sono comunque auspicabili nuovi studi in questa direzione.
Camilla Saccardi
Bibliografia
- Sierra M., Medford N., Wyatt G. & David A. S. (2012) Depersonalization disorder and anxiety: A special relationship?, Psychiatry Research, UK.
- Sass L., Pienkos E., Nelson B. & Medford N. (2013) Anomalous self-experience in depersonalization and schizophrenia: A comparative investigation, Consciousness and Cognition, USA.
- Renik (1978) The Role of Attention in Depersonalization, The Psychoanalytic Quarterly, 47:4, 588-605 , DOI: 10.1080/21674086.1978.11926859
- Mula M., Pini S. & Cassano G. B. (2007) The neurobiology and clinical significance of depersonalization in mood and anxiety disorders: A critical reappraisal, Journal of Affective Disorders 99 91–99, Pisa (IT).
- Baker, Hunter E., Lawrence E., Medford N., Patel M., Senior C., Sierra M., Lambert M. V., Phillips M. L. & David A. S. (2003), Depersonalisation disorder: clinical features of 204 cases, British Journal of Psychiatry, 182, 428^433, UK.
- Correale (2010) La difficile differenziazione dalla identificazione traumatica. La forza gravitazionale del trauma, Roma (IT).
- Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM–5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.