L’ansia è il prezzo evolutivo da pagare per avere un cervello che ci permette di prevedere il futuro.
Si tratta di un’azione che diamo per scontata, ma che è particolarmente caratteristica della mente umana. Le informazioni conservate nella mente umana possono essere utilizzate per fare “viaggi” nel passato e nel futuro. Questa capacità apporta numerosi benefici, ma espone anche a qualche effetto collaterale. Il più comune è provare paura anticipata per eventi che non stanno avvenendo in questo momento e potrebbero anche non avvenire mai, ossia l’emozione che chiamiamo ansia. L’ansia e lo studio di essa sono perciò inevitabilmente legati alla paura.
Diamo uno sguardo a cosa accade nel cervello quando sperimentiamo ansia e paura.
La comprensione della fisiologia del cervello si è profondamente evoluta negli ultimi decenni, anche grazie allo sviluppo sempre maggiore delle neuroscienze, che ha permesso di esaminare cosa succede a livello cerebrale a livello macro e microscopico. Inevitabilmente, queste scoperte di matrice neurologica sono entrate nel mondo della psicologia, poiché la nostra comprensione del cervello è inevitabilmente legata alla comprensione dei processi psicologici che avvengono in esso. È stato il caso, ad esempio, delle emozioni. Notare come diverse aree del cervello si attivavano in corrispondenza di diverse emozioni ha indotto ad applicare al funzionamento del cervello delle categorie psicologiche costruite arbitrariamente durante i decenni. Come esseri umani, tendiamo a dare per scontata la realtà delle cose in base alle parole che usiamo per descriverla. Questa falla cognitiva è particolarmente rilevante quando si parla di psicologia; già negli anni ’60 Mandler e Kensen commentavano la lingua comune, piena di asserzioni quasi psicologiche il cui uso è inadeguato. “Gli psicologi non sono molto precisi con le parole: è importante comprendere meglio il significato dal punto di vista denotativo e connotativo perché alcune etichette […] spesso finiscono per controllare in modo non riconosciuto il modo in cui pensiamo”. Il fatto che molti concetti psicologici si basino su categorie che potremmo definire “di senso comune”, risultando imprecisi e privi di fondamenta oggettiva, finisce per inficiare la ricerca scientifica alla base.
Il caso di ansia e paura risulta emblematico. Nei paragrafi a seguire riprenderemo alcuni dei concetti chiave più recenti espressi da Joseph LeDoux (2012, 2014, 2015, 2016, 2017), tra i più autorevoli studiosi sulla neurofisiologia dell’ansia a livello mondiale.
Ansia, paura e cognizione
La maggior parte degli studi di neurofisiologia viene svolta su animali, misurando le risposte comportamentali e fisiologiche in risposta a stimoli minacciosi. A queste risposte vengono spesso date nomenclature che riguardano la sfera emozionale, quali “paura” e “ansia”. Ciononostante, è bene tenere presente che l’arousal fisiologico riguarda reazioni non coscienti allo stimolo minaccioso, mentre l’emozione riguarda l’esperienza soggettiva e cosciente vissuta durante quella situazione. Le moderne teorie delle emozioni, per la maggior parte, riprendono un’impostazione darwiniana. Tale teoria considera le emozioni come stati innati della mente, prodotti di una sorta di “programma” di affettività primordiale che controlla la sensazione consapevole (ad esempio, la paura) ed esprime risposte psicologiche e comportamentali. Secondo questi tipi di teorie, nel cervello c’è qualcosa che rileva la minaccia e di conseguenza genera la paura; si tratterebbe di una risposta comportamentale fisiologica, che permette di identificare il circuito cerebrale alla base dei sentimenti di paura. Questi circuiti relativi alle emozioni di base dovrebbero essere conservati in tutte le specie animali, per quanto in forme diverse. Perciò si assume che gli studi sugli animali siano in grado di individuare l’origine della paura in specifiche aree cerebrali, perché sono state individuate le aree del cervello deputate alla rilevazione di minacce e quelle che si attivano per generare la sensazione adattiva di paura.
Paura e amigdala: una relazione assodata?
L’amigdala è comunemente conosciuta come il centro della paura. A partire dagli anni ’80 si è iniziato a poter notare che i comportamenti e gli stati fisiologici ricondotti alla paura erano riconducibili a un’attivazione dell’amigdala, sia negli animali che negli esseri umani. Tuttavia, è fondamentale sottolineare come questo concetto di “paura” facesse riferimento alla paura come stato implicito o non cosciente. Non si tratta del concetto che si intende normalmente quando si parla di “paura”. Ciò ha generato non pochi fraintendimenti a livello di comunità scientifica, portando a una mancanza di coerenza: quando si parla di “paura”, spesso non è ben chiaro di che cosa si stia effettivamente parlando. Quando si parla di paura cosciente, infatti, l’amigdala non è coinvolta e l’elaborazione avviene a livello delle aree corticali.
Secondo LeDoux, esistono due circuiti che elaborano la minaccia: uno implicito, non cosciente, che scatena il comportamento di difesa e la connessa risposta fisiologica e uno esplicito, il quale, elaborando la medesima minaccia a livello cosciente, genera le sensazioni consapevoli di ansia e paura di cui abitualmente parliamo quando utilizziamo questi due termini.
Sappiamo effettivamente, grazie agli studi sul cervello, che le lesioni all’amigdala riducono o eliminano le risposte comportamentali e fisiologiche alle minacce. A ciò segue la conclusione non supportata da dati reali che l’eliminazione delle suddette risposte comporti anche l’eliminazione della paura come risposta cosciente. Le risposte comportamentali generate dalla paura non sempre vanno di pari passo con l’esperienza soggettiva della paura. Questo è risultato evidente dagli studi di alcuni casi clinici di persone con l’amigdala danneggiata o rimossa, che ciononostante continuavano a percepire la sensazione cosciente di paura; infatti, sappiamo per certo grazie agli studi con gli stimoli subliminali che è possibile indurre reazioni fisiologiche di paura anche senza che sussista consapevolezza dello stimolo e, di conseguenza, una sensazione cosciente di paura. Lo stesso risultato si rileva nei casi di pazienti con visione cieca, quando a causa di un danno alla corteccia visiva non sono in grado di fornire alcun dettaglio su ciò che vedono da uno dei due occhi.
Questi risultati sono importanti perché permettono di acquisire una conoscenza più approfondita della paura, smettendo di considerare la paura come se fosse semplicemente un prodotto dell’amigdala, area deputata alla regolazione del circuito di difesa predatorio. Altre paure, come quella della morte per fame, ipotermia, disidratazione e isolamento dipendono da circuiti differenti. Si tratta di diversi apparati cerebrali che spingono alla paura per sopravvivere. L’esperienza cosciente che si sviluppa è la paura perché si prova una minaccia (più o meno immediata) al proprio benessere.
Quali terapie per ansia e paura?
“Noi non abbiamo circuiti sottocorticali per percepire le emozioni e circuiti corticali per esperienze cognitive: tutte le esperienze soggettive, tutte le esperienze coscienti sono esperienze cognitive e vengono generate da un unico sistema” (J. LeDoux, 2018).
Attualmente, le terapie per l’ansia si focalizzano sul trattamento farmacologico e la terapia cognitivo-comportamentale. La prima risulta adeguata per trattare l’aspetto “fisiologico” di ansia e paura, ma risulta insufficiente per modificare ansia e paura come esperienze coscienti. I farmaci ansiolitici vengono sviluppati per cambiare le risposte fisiologiche e comportamentali negli animali, e da ciò si assume che possano anche far sentire meno ansiose le persone. In realtà, per quanto avvengano alterazioni fisiologiche farmaco-indotte (come il rallentamento del battito cardiaco) ciò non ha alcun impatto diretto sull’esperienza soggettiva dell’ansia, che è anche costruita cognitivamente. Gli effetti positivi derivano casomai dalla riduzione della timidezza comportamentale, che attraverso una terapia psicologica mirata può essere sfruttata per modificare il vissuto cosciente relativo all’ansia. È quindi opportuno che i professionisti del settore non cadano in facili fenomeni di semplificazione; non è possibile ridurre l’esperienza cosciente degli stati di ansia e paura a semplici risposte fisiologiche controllabili farmacologicamente.
Dott.ssa Lucrezia Guiotto Nai Fovino
Bibliografia:
LeDoux J.E. (2012). Rethinking the Emotional Brain. Neuron, 73(4): 653-676. DOI: 10.1016/j.neuron.2012.02.004
LeDoux J.E. (2014). Coming to terms with fear. PNAS, 111(8): 2871-2878. DOI: 10.1073/pnas.1400335111
LeDoux J.E. (2015). Anxious. Using the Brain to Understand and Treat Fear and Anxiety. New York: VIKING.
LeDoux J.E. and Pine D.S. (2016). Using Neuroscience to Help Understand Fear and Anxiety: A Two-System Framework. Am. J. Psychiatry, 173(11): 1083-1093. DOI: 10.1176/appi.ajp.2016.16030353
LeDoux J.E. and Brownc R. (2017). A higher-order theory of emotional consciousness. PNAS, 114(10): E2016-E2025. DOI: 10.1073/pnas.1619316114