Fino al XIX secolo il feto era pensato un po’ come un “girino senz’anima”, insensibile ad ogni sorta di stimolo fino alla nascita e incapace quindi di apprendere. Eppure, l’apprendimento è innato e naturale e sin dalla sua concezione la mente umana sembra che sia pronta a imparare. Gli scienziati ipotizzano che quando un bambino è nel grembo materno, è in grado di ascoltare certi suoni e ricordarli anche dopo la nascita come accade per l’abituazione a certi movimenti. I bambini nell’utero sono leniti dai movimenti oscillanti di veicoli che possono riportare alla memoria il movimento del corpo della madre (Bhamani, 2017). Tra i sensi il primo che si sviluppa nell’uomo è proprio l’udito. Rumori che il bambino riesce a sentire nel grembo materno che poi possa riconoscere dopo la nascita potrebbero includere melodie di spettacoli che la madre guardava e musiche che ascoltava spesso durante la gravidanza o le parole di un libro lette ad alta voce e regolarmente. Ma già entro la fine del secondo trimestre il bambino inizia a sentire la voce della madre. Date queste evidenze, recentemente, la ricerca si è concentrata su educazione e apprendimento anche prima della nascita, resa nota l’alta funzionalità dei sensi già nel feto. L’enfasi dedicata alla sperimentazione sull’educazione prenatale, pone attenzione sulla possibilità di istituire degli interventi preparto indirizzati proprio ai bambini in grembo, che possono imparare il mondo attraverso la loro mamma.
Esiste apprendimento nel feto?
L’apprendimento può essere di diversi gradi: semplice, ad esempio, nella forma di abitudine e condizionamento classico osservata in molte specie animali, o più complesso rappresentato da attività come il gioco e l’educazione apprendimento, visto solo in animali ed esseri umani relativamente intelligenti. Inoltre, l’apprendimento può essere più o meno consapevole a seconda che sia stato intrapreso attivamente dall’individuo. Ciò che noi conosciamo come memoria non è altro che la conservazione di un cambiamento nel comportamento dall’esperienza (cioè l’apprendimento). Stimolare l’apprendimento e conservarne memoria è possibile stimolando qualsiasi senso (udito, vista, olfatto, gusto, tatto e movimento). Per quanto riguarda il feto, sapendo che alcuni sensi sono già funzionali prima di nascere, ormai si sa che è presente già la possibilità di apprendere. Tuttavia, studiare l’apprendimento fetale non è cosa semplice e si possono prendere in considerazione solo delle forme di apprendimento semplici, come possono essere quelle di tipo non associativo. L’abituazione è un esempio di apprendimento non associativo in cui si verifica una progressiva diminuzione della risposta comportamentale con la ripetizione di uno stimolo: si osserva una prima risposta a uno stimolo e poi la frequenza e / o la forza delle risposte successive diminuiscono con la stimolazione ripetuta. La sensibilizzazione è invece un esempio di apprendimento non associativo in cui a ripetute somministrazioni di uno stimolo si accompagna la progressiva amplificazione di una risposta. Le possibilità di verificarlo sono prevalentemente nell’osservazione nel primo periodo dopo la nascita dei comportamenti semplici, per esempio di suzione non nutritiva o i cambi di direzionalità dello sguardo. Questo tipo di ricerche possono presentare numerose limitazioni, infatti in molti casi possono non essere prospettiche, non essere randomizzate, e anche il non poter escludere la possibilità che l’apprendimento dell’esposizione si sia verificato dopo la nascita. Comunque, la maggior parte delle ricerche sull’apprendimento prenatale, fatte sull’uomo e non su animali, ha utilizzato l’apprendimento per esposizione a stimoli. DeCasper e Spence (1986) hanno condotto uno studio prospettico di risposte di suzione neonatale in 16 bambini le cui madri avevano letto ad alta voce dei testi selezionati due volte al giorno nelle ultime 6 settimane di gravidanza, invece che dopo nascita. Questi bambini hanno dimostrato diverse risposte di suzione neonatale rispetto a due gruppi di bambini di controllo (un gruppo esposto prenatalmente ma a letture diverse rispetto all’esposizione neonatale e a un gruppo non esposto prenatalmente). Questo studio rimane la prova più elegante e convincente tra diversi studi che il feto può imparare attraverso l’esposizione a stimoli. Per parlare di apprendimento però é necessaria la conservazione in memoria di quelle associazioni. Da alcune ricerche recenti si può affermare che il feto sembra avere una memoria sia a breve termine che a lungo termine (Dirix, Nijhuis, Jongsma, Hornstra, 2009). Da un test di abituazione dove il feto era esposto ad un tono singolo ogni 30vsecondi fino a che non vi erano più movimenti fetali dopo lo stimolo, si è visto che dopo 10vmin, se riesposto a quello stimolo era come se lo ricordasse: questo fa pensare che il feto abbia già una memoria a lungo termine seppur ridotta.
Il feto è già un grande uditore
Come già accennato, l’udito è il primo organo che si sviluppa prima di venire al mondo. Tomatis, otorinolaringoiatra francese, con le sue ricerche a partire dal 1947, ha concluso dalle sue ricerche che dalla maturazione dell’udito dipenda anche lo sviluppo successivo del sistema nervoso, considerata anche la posizione occupata dalle orecchie che consentono un controllo a 360 gradi su tutto ciò che sta intorno all’individuo. Tomatis fu uno dei primi a comprovare che il feto dimostrava di percepire dei suoi reagendo attraverso distinte reazioni motorie. Ma già negli anni venti del ‘900 si era scoperta la sensibilità ai suoni del feto e l’aumento del battito cardiaco fetale in risposta a suoni trasmessi vicino all’addome della madre in gravidanza. Queste e altre evidenze hanno portato gli studiosi della prenatalità a utilizzare una qualche forma di vibrazione/stimolo acustico nelle ricerche. Di seguito questi hanno fornito a loro volta importanti approfondimenti sull’udito, sugli effetti del suono sul feto e quindi sull’apprendimento fetale. Hepper (1988) in alcune sue ricerche ha riportato il diverso comportamento nei neonati le cui madri hanno riferito di ascoltare quotidianamente durante la gravidanza il motivo musicale di una soap-opera televisiva rispetto a quello dei bambini nati da madri che non erano allo stesso modo “dipendenti” da essa durante il tempo della gravidanza. Lo stesso autore in anni seguenti ha scoperto che la prima risposta al suono del feto avviene a 19 settimane per toni di 500Hz e gradualmente fino ai 1000-3000Hz a 35 settimane gestazionali. I suoni viaggiano naturalmente attraverso il liquido amniotico per raggiungere il feto, anche se ci sono frequenze che, essendo più simili alle frequenze del rumore interno in utero, sono più difficili da distinguere (voce maschile o musica con frequenza media di 125Hz). La voce femminile e la musica di 220 Hz e più viene attenuata maggiormente ma anche maggiormente distinta dai rumori in utero. Tra quelli che riesce più a distinguere poi fa già una selezione di quelli che preferisce. La voce della madre è il segnale acustico più intenso misurato nell’ambiente amniotico, che sente vibrare più forte nell’ambiente amniotico, ed è il primo che sembra preferire il feto. Il neonato, infatti, ha la capacità di dimostrare le preferenze vocali e lo si può vedere dal fatto che li riconosce, li preferisce e vi reagisce dopo la nascita (Fifer & Moon, 1994). Ci sono infatti più possibilità che un bambino venga placato dalla voce della madre piuttosto che da qualsiasi altra voce o suono, poiché è la prima voce che un bambino registra, quindi che apprende. La preferenza dei neonati alla voce della loro madre, evidente a due giorni dalla nascita, ha infatti basi prenatali, e può figurarsi anche come un mezzo per comunicare al bambino, e chissà, magari “insegnargli” qualcosa.
Apprendimenti fetali
Dagli studi in letteratura su questo fenomeno, si ipotizza allora che ci siano più modi attraverso i quali un bambino in utero apprende, attraverso la madre che gli parla. Il feto può imparare sicuramente per ripetizione: se una madre ripete determinate conversazioni con il bambino quando è nel grembo materno, sarebbe più familiarizzato con le parole e potrebbe rispondere immediatamente a loro. È possibile anche un apprendimento per associazione: il bambino può associare certe parole che dice la madre al modo in cui lei si sente mentre le dice. Ad esempio, se è triste e sta parlando al suo bambino nel grembo materno, dopo la nascita, quelle parole che risente, e riconosce, sarebbero associate alla tristezza. Lo schema di associazione sarebbe simile anche per altre emozioni, vedi per esempio la gioia. La voce della madre in ogni caso sembra essere impattante sullo sviluppo del cervello del bambino, inoltre, sia il neonato che il feto mostrano decelerazioni della frequenza cardiaca, una risposta attentiva cardiorespiratoria, in risposta ai suoni del linguaggio (Fifer, W. P., & Moon, C. M., 1994). Questi effetti hanno ramificazioni per lo sviluppo del sistema uditivo, così come per il successivo sviluppo sociale ed emotivo. Da queste consapevolezze sullo sviluppo fetale e sulla possibilità di un apprendimento pre-nascita si sono anche costruiti dei programmi di arricchimento dei genitori e delle future mamme (ad esempio Blakemore e Frith, 2005). Lo scopo di questi programmi è affrontare il problema dello sviluppo del bambino in utero. Questo potrebbe essere ottenuto cantando per loro, leggendo, parlando e altre attività simili che tendono a stimolare lo stato intellettuale del bambino fin dall’inizio. Tuttavia, non ci sono prove che le madri possano aumentare le capacità intellettive dei figli prima della loro nascita, ma indipendentemente dagli effetti possibili da programmi di arricchimento parentale, leggere ai bambini in utero, cantare loro o raccontargli storie può avere effetti benefici in ogni caso sullo sviluppo del feto e sulla madre stessa. Da una parte i bambini hanno la possibilità di creare già prima di venire alla luce un’attitudine e una sorta di attaccamento buono con la madre che lo aspetta e poi lo accoglierà. D’altra parte, la madre in dolce attesa può guadagnare maggior rilassamento ed estendere i propri affetti particolari al feto in crescita.
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Bibliografia
Bhamani, S. (2017). Educating before birth via talking to the baby in the womb: Prenatal Innovations. Journal of Education and Educational Development, 4(2), 368-375.
Blakemore, S. J., & Frith, U. (2005). The learning brain: lessons for education: a précis. Developmental science, 8(6), 459-465.
DeCasper, A. J., & Spence, M. J. (1986). Prenatal maternal speech influences newborns’ perception of speech sound. Infant Behavior and Development, 9, 133–150.
Fifer, W. P., & Moon, C. M. (1994). The role of mother’s voice in the organization of brain function in the newborn. Acta Paediatrica, 83, 86-93.)
Galvani, F. (2019). Psicologia della Voce e del Canto: Dalle neuroscienze alle applicazioni cliniche.
James, D. K. (2010). Fetal learning: a critical review. Infant and Child Development: An International Journal of Research and Practice, 19(1), 45-54.
Preyer, W. (1885). Spezielle Phisiologie des Embryo. Grierben Verlag. Leipzig
Robinson, S. R., Kleven, G. A., & Johnson, S. (2005). Learning to move before birth. Prenatal Development of Postnatal Function, 2, 131-175.
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