Prima di raccontarvi cosa lega indissolubilmente la Fibromialgia e lo Stress è doveroso fare un excursus attraverso diverse tappe, così da rendere ogni aspetto un po’ più chiaro. Cominciamo!
La psicofisiologia dello stress
Cominciamo subito dal definire cosa vuol dire psicofisiologia: “studio dei fenomeni fisiologici che sono alla base delle manifestazioni psicologiche“.
Cerchiamo quindi di capire cos’è lo stress e quali sono i meccanismi alla sua base. Lo stress è diventato, oggigiorno, un concetto d’uso comune al quale spesso le persone si riferiscono in maniera errata per cercare di spiegare disfunzioni comportamentali più o meno gravi. Il significato di questa parola, tutt’ora, non si può definire univoco. Tuttavia, una definizione che riscuote il maggior consenso è quella di “stato di tensione dell’organismo, in cui vengono attivate delle difese per far fronte a una situazione di minaccia” (Trombini & Baldoni, 2001).
Hans Selye, medico austriaco, è stato uno dei primi ad occuparsi di Stress, sostenendo che questo rappresentasse una risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata ad esso. Ogni richiesta comprende una gamma moto ampia di stimoli chiamati stressors (agenti esterni) che possono generare poi l’eustress (stress “buono”) e distress (stress “cattivo”).
Gli stressor che attivano una risposta dell’organismo, in ogni caso, possono avere una natura differente: fisica, biologica o psicologica. Oltre alla natura, anche altri aspetti degli stressor sono molto importanti, come per esempio: intensità, frequenza, durata nel condizionare l’entità della risposta, grado di novità, prevedibilità ed evitabilità dello stimolo. Ogni stressor che attacca l’organismo richiede che questo fornisca in maniera più celere possibile una risposta regolativa neuropsichica, emotiva, locomotoria, ormonale e immunologica.
È considerando tutte queste cose che possiamo quindi attribuire allo stress un valore adattivo, essenziale per la sopravvivenza dell’organismo.
Nonostante lo stress sia fondamentale se consideriamo la sua funzione adattiva esistono anche situazioni in cui questo non rappresenta niente di funzionale per l’organismo. Abbiamo visto prima come sia possibile identificare uno stress buono e uno cattivo: nel primo l’individuo riesce a rispondere in maniera positiva e funzionale grazie alla limitatezza nel tempo della situazione stressante; nel secondo invece l’individuo risponde in maniera negativa e disfunzionale alla situazione stressante a causa del protrarsi nel tempo di questa. È proprio in questo ultimo caso che viene richiesta un’attivazione cronica dell’organismo, che diventa incapace di neutralizzare o eliminare gli stressor attraverso azioni.
Abbiamo capito cos’è lo stress, ma…
Cos’è il “dolore”?
Vediamo in che modo cos’è il dolore e come viene trasmesso al cervello.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce il dolore come un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.
Il dolore non è propriamente descrivibile come un fenomeno puramente sensoriale, piuttosto come la composizione di una parte percettiva che permette la ricezione e l’invio di stimoli al Sistema Nervoso Centrale (SNC) e di una parte esperienziale, cioè di uno stato psichico collegato alla percezione di una sensazione sgradevole.
Generalmente, il dolore, è un fenomeno descrivibile come la risposta fisiologica che l’organismo mette in atto in situazioni particolari, con la straordinaria possibilità di poter essere modulato da altri fattori, ovvero da altre informazioni sensoriali che vengono registrate contemporaneamente nella spina dorsale.
L’individuo è in grado di provare una sensazione di dolore grazie alla vasta gamma di quantità di recettori situati in tutto il corpo, in maniera più o meno profonda, capaci di percepire sia il dolore più impegnativo come quello muscolare, sia quello più superficiale come un taglio, a cui per altro i recettori cutanei riescono prontamente a rispondere eliminando le cellule danneggiate e curandone l’infiammazione.
Curiosità: Fino a metà del ‘900 l’idea maggiormente diffusa era che la risposta al dolore fosse un meccanismo semplice e lineare. Cartesio nel 1664 formula la “teoria della specificità” secondo cui, per esempio, che desse un calcio a un sasso avrebbe visto le stelle a causa di un “cavetto” che dal piede sale lungo la gamba, la schiena e arriva al cervello trasmettendo la sensazione di dolore. Se le cose stessero veramente così sarebbe facile far cessare il dolore cronico: basterebbe tagliare il “cavetto”!!
Diversi anni dopo Cartesio, Patrick Wall, neurofisiologo inglese, e Ronald Melzack, psicologo canadese, hanno ipotizzato che il Sistema Nervoso Centrale dovesse essere un sistema molto più articolato e che questo fosse in grado di trasformare gli impulsi nervosi in ciò che noi percepiamo come dolore (sensazioni).
Nello specifico, il modello da loro proposto riassume in maniera concisa in quale modo l’informazione dolorosa giunge al cervello e come quest’ultimo sia in grado di modularsi in base al messaggio ricevuto. Fanno una distinzione tra dolore improvviso, quindi acuto e intenso, e il dolore lento, quindi costante e diffuso.
Vediamo quindi, in maniera molto superficiale, quali sono le principali informazioni che questo modello ci trasmette:
- Parte A del modello (DOVE POSSONO ANDARE?): X, che rappresenta il nostro neurone che si trova nel midollo spinale, quando viene stimolato da una fibra del dolore invia segnali al cervello per avvertirlo che qualcosa di doloroso sta capitando. In questo caso, le fibre del dolore possono trasportare informazioni sia sul dolore improvviso sia su quello lento;
- Parte B del modello (PERCHE’ ESISTONO INFORMAZIONI DIFFERENZIATE?): le informazioni dolorose sono differenziate: nel dolore improvviso il neurone X viene parzialmente inibito da altri interneuroni e questo causa come conseguenza una trasmissione breve del segnale doloroso; nel dolore lento, al contrario, il neurone X inibisce gli interneuroni che ostacolano la sua via e questo gli permette di continuare a viaggiare arrivando fino al cervello e trasmettendo il segnale di dolore in maniera prolungata e diffusa;
- Parte C del modello (COME AVVIENE LA MODULAZIONE DELLA RISPOSTA?): il cervello, che a sua volta possiede fibre stimolatrici ed inibitrici, può inviare informazioni al neurone X modulando la sua sensibilità al segnale doloroso.
Secondo questi due studiosi questo circuito doveva essere capace di far variare intensità e qualità delle sensazioni in base all’esperienza dell’individuo, alla psicologia e al contesto. L’interpretazione del dolore da parte del cervello è molto soggettiva.
Lo scopo principale della percezione del dolore a livello cerebrale è attribuirgli reazioni emozionali e interpretazioni contestuali.
Di fondamentale importanza è il concetto di possibile risposta di alterazione all’informazione dolorosa. Questo ultimo aspetto, infatti, potremmo definirlo cruciale, in quanto è proprio su questo sfondo che prende piede il ruolo dello Stress.
Quando, infatti, la percezione del dolore diventa cronica, situazione di iperalgesia (condizione che incentiva la sensibilità) indotta da Stress, causa una risposta continua di dolore che potrebbe peggiorare.
Cerchiamo di capire cosa si intende con “Fibromialgia”
La Fibromialgia (FM) è una sindrome che non ha ancora trovato una spiegazione medica soddisfacente, soprattutto perché si sovrappone in gran parte ad altre sindromi somatiche funzionali (es: sindrome dell’intestino irritabile e sindrome da stanchezza cronica). Essa, oltre a colpire maggiormente le donne per un valore di 6:1, consiste per lo più in un esteso dolore muscoloscheletrico e indolenzimento generale accompagnato da altri sintomi aggiuntivi come per esempio affaticamento, intolleranza allo sforzo, scarsa qualità del sonno, difficoltà di concentrazione e depressione per una durata di almeno 3 mesi.
Da un punto di vista patogenetico (patogenesi: meccanismo secondo cui si instaura un processo morboso) non è stato dimostrato alcuna chiara patologia muscolare nella fibromialgia.
Da un punto di vista psicologico diverse indagini hanno indicato, in maniera ripetuta, la frequenza di comorbidità (coesistenza di più patologie) psichiatriche (in particolare ansia e depressione) nella fibromialgia. Natura e direzione di questa associazione sono state a lungo contestate. Tuttavia, molti studi recenti suggeriscono che il disagio psicologico o fattori psicopatologici possono svolgere un ruolo causale nella sindrome. Questo supporterebbe l’opinione secondo cui la FM sia un disturbo che debba essere compreso da una prospettiva biopsicosociale.
Stress, Dolore e Fibromialgia: che relazione lega questi tre colossi?
Sebbene da un punto di vista filogenetico stress e dolore sembrano essere strettamente connesse le relazioni tra questi due fenomeni sono diventate solo recentemente un argomento di particolare interesse.
Secondo diversi studi condotti in ambito neonatale, lo stress fisico e psicologico può avere effetti a lungo termine sullo sviluppo dei sistemi nocicettivi (nocicezione: processo sensoriale che rileva e convoglia i segnali e le sensazioni di dolore). Per esempio giovani ragazzi circoncisi senza un’adeguata anestesia hanno mostrato una risposta al dolore più pronunciata durante la vita adulta rispetto a coetanei anestetizzati in maniera adeguata, così come la precoce privazione materna e i traumi sessuali infantili sembra abbiano determinato soglie di dolore inferiori.
Accumulare stress fisico e/o psicosociale sembra far precipitare le malattie, nel nostro caso la FM. Diverse storie di pazienti intervistati, in effetti, mostrano come i sintomi della FM spesso siano iniziati in seguito a un periodo prolungato di sovraccarico e come siano innescati da lesioni dolorose, infezioni o esperienze traumatiche. Questo suggerirebbe che l’insorgenza della malattia potrebbe essere facilitata da uno spostamento, all’interno del sistema dello stress, da un’iperfunzione cronica a un’ipofunzione implicando un’incapacità di rispondere in maniera adeguata a nuovi fattori stressanti e, infine, dando origine a disturbi a lungo termine nella regolazione dello stress, di processamento del dolore e dei meccanismi immunitari.
Diversi fattori legati allo stress possono contribuire alla perpetuazione dei sintomi e della disabilità nella FM come per esempio il dolore continuo, l’ansia in atto, la depressione, l’irritabilità, la preoccupazione, il pensiero catastrofico, l’ipervigilanza somatica, il sonno non ristoratore e un comportamento inadeguato alla ricerca di cure mediche.
Concettualizzare la fibromialgia come disturbo da stress può avere un valore terapeutico importante, per diversi motivi:
- Il concetto di stress, altamente riconoscibile e non stigmatizzante, è accettabile per la maggior parte dei pazienti e può abbassare la soglia per discutere di problemi psicosociali
- Le misure sintomatiche per gestire dolore e stress dovrebbero essere integrate da strategie di riabilitazione fisica e psicoterapeutica
- Dare origine a pratiche linee guida terapeutiche come un adattamento accurato di esercizi in base al tipo di paziente
Concludendo, sembra ormai certo che chi soffre di fibromialgia è soggetto a una disfunzione cerebrale dell’elaborazione del dolore. Non è ancora sufficientemente chiaro se sono fattori psicologici e tra questi anche e soprattutto lo stress, a generare le alterazioni e le disfunzioni cerebrali o se queste provochino come effetto secondario un malessere psicologico. Ciò che è certo è che i fattori psicologici, e quindi lo stress, influiscono in maniera molto significativa sulla sintomatologia dolorosa. Questo sta a significare che un continuo stato d’allarme, ansia e tensione cronica può influenzare il nostro Sistema Nervoso e i milioni di neurotrasmettitori che regola.
Federica Mattei
Bibliografia e Sitografia
Rizzi L., Boccasso E., Casetta L. (2012), Intervenire sullo stress. Gruppi Benessere e Valutazione, Upsel Domeneghini Editore
Sapolsky R. M. (2014), Perché alle zebre non viene l’ulcera? La più istruttiva e divertente guida allo stress e alle malattie che produce. Con tutte le soluzioni per vincerlo, Castelvecchi
Van Houdenhove B., Egle U. (2004), Fibromyalgia: A Stress Disorder?, Psychoterapy and Psychosomatics, 73:267-275
http://scielo.isciii.es/scielo.php?pid=S1130-52742008000300005&script=sci_arttext&tlng=en