Ansia da Public Speaking: cos’è?
Con il termine “Public Speaking”, letteralmente, ci si riferisce all’abilità di “parlare in pubblico”. Tuttavia, in maniera errata, si potrebbe pensare che perfezionare questo tipo di abilità sia equivalente a perfezionare il discorso da esporre. A tal proposito, infatti, è necessario precisare che il Public Speaking non corrisponde alla capacità di parlare IN pubblico, ma alla capacità di parlare AL pubblico. Parlare al pubblico implica una serie di possibili paure: paura del giudizio del pubblico, di una scarsa preparazione personale, di un possibile non raggiungimento dei propri obiettivi personali, ma anche una paura della paura stessa. Quest’ultima è molto vincolante poiché comporta pensieri sgradevoli e inibisce la volontà di mettersi in gioco in determinate situazioni e, quindi, alla rinuncia e all’evitamento di importanti occasioni di crescita.
La comunicazione orale comprende una varietà di generi: conversazioni, interviste, discussioni, dibattiti e negoziazioni, solo per citarne alcuni. La maggior parte di questi eventi linguistici si svolge in contesti poco minacciosi e coinvolgono poche persone. In questi contesti i sentimenti legati all’ansia comunicativa si manifestano in maniera rara. Tuttavia, per il Public Speaking la situazione è differente: in questo caso infatti l’operatore condivide anche le proprie opinioni col pubblico, molto più ampio rispetto ai casi citati precedentemente, e questo favorisce uno sviluppo di apprensione e nervosismo prima e durante la presentazione stessa.
Molte carriere si basano su una certa quantità di attività del Public Speaking (esempio: insegnanti, avvocati, politici), ma anche per quelli che non hanno una carriera avviata in questo senso le occasioni di parlare a un pubblico non sono così scarse (esempio: presentazioni individuali in classe, contributi durante riunioni cittadine, brindisi). Insomma, tutti, prima o poi sono toccati da quest’attività che, il più delle volte, rischia di diventare spiacevole.
Farmaci, riti scaramantici e alcol: le presenze invisibili nel Public Speaking
Negli ultimi decenni sempre più è stato possibile constatare come il fenomeno della medicalizzazione sia lievitato sempre più. Infatti, i farmaci hanno chiaramente cambiato lo stile di vita delle persone che sempre più si sono sentite incoraggiate a prendere scorciatoie pur di evitare il coinvolgimento della propria forza di volontà nelle attività quotidiane.
Diversi studi realizzati tra musicisti classici statunitensi hanno dimostrato che nel loro mondo, già dagli anni ’60, la pratica farmacologica era molto diffusa, seppur nascosta. Un famosissimo caso è stato quello di Ruth Ann McCain, una flautista statunitense, che soffriva di “ansia da palcoscenico” e che in una lunga intervista ha descritto le sensazioni che provava prima delle sue esibizioni: sudore alle mani, tachicardia, poca concentrazione e alti livelli di nervosismo. Questa situazione, a detta sua invalidante, l’ha spinta a chiedere al proprio medico la prescrizione del Propranololo, un farmaco betabloccante, la cui funzione era quella di ridurre il lavoro del muscolo cardiaco favorendo una sensazione di tranquillità. La musicista sosteneva che dopo averlo provato non è più stata in grado di tornare indietro e, addirittura, lo ha sponsorizzato ai propri studenti di musica incoraggiandoli a seguire il suo esempio, motivo per il quale è stata licenziata dalla sua attività di insegnante di musica.
Prima dell’avvento dei betabloccanti gli artisti provavano a utilizzare mezzi differenti per calmarsi. Per esempio, dei pianisti di New York pagavano una piccola somma (75 centesimi) per frequentare un salone (Society for Timid Souls) in cui i partecipanti si distraevano a vicenda durante delle simulazioni. Altri ricorrevano a rituali scaramantici o all’alcol. Tra i musicisti intervistati a riguardo c’è chi sostiene con fermezza che i betabloccanti utilizzati per ridurre l’ansia da palcoscenico siano motivo di vergogna così come il viagra potrebbe esserlo per la gente comune perché implica ammettere una debolezza che non tutti sono disposti ad accettare in maniera non giudicante.
Farmaci: più un aiuto o più un danno?
I betabloccanti hanno molti effetti collaterali proprio a causa di quelle caratteristiche che li rendono farmaci di grande utilità. Alcuni possibili effetti collaterali infatti potrebbero essere: fatica, allucinazioni, formicolio, sogni vividi, scompenso cardiaco, brachicardia, disturbi gastrointestinali come nausea vomito e diarrea, capogiri. Negli ultimi decenni, infatti, molti medici stanno mettendo in discussione l’accettabilità, la sicurezza, l’efficacia e l’etica dell’utilizzo delle droghe nel mondo della musica. La preoccupazione maggiore è che molti musicisti abbiano cominciato a utilizzare i betabloccanti senza un’adeguata supervisione medica. In un’indagine del 1987 fatta sui musicisti d’orchestra statunitensi, è emerso che il 70% dei musicisti che assumevano questi farmaci li reperivano da amici e non da medici. Tra questi, secondo quanto riporta un sondaggio che indagava l’utilizzo dei betabloccanti nei musicisti prima delle esibizioni (dell’International Conference of Symphony and Opera Musicians), è emerso che: il 6% non li ha trovati efficaci, il37% li ha trovati molto efficaci e il 29% molto efficaci. In successivi esperimenti svolti in questo campo il betabloccante è stato sostituito con la vitamina B12, i benefici sono stati altrettanto elevati, possiamo quindi parlare di un effetto placebo? Di una suggestione psicologica?
A tal proposito, Robert Barris, copresidente della facoltà di Studi di Performance Musicale della Northwestern University, incoraggia gli studenti ad affrontare le radici delle proprie ansie evitano di inciampare sulla dipendenza psicologica dalle sostanze chimiche. I giovani musicisti, infatti, possono trarre beneficio da trattamenti non chimici ma olistici. Tuttavia i musicisti si lamentano di questi trattamenti perché sono lenti, a tratti incerti rispetto alla gratificazione istantanea e alla convenienza offerta dai betabloccanti. Ricorrere ai farmaci non rappresenta mai una soluzione perchè le performance più riuscite sono quelle che sono in grado di gestire l’adrenalina incanalandola positivamente e non quelle che la sopprimono completamente.
Curiosità: lo sapevi che anche artisti come Pavarotti e Caruso soffrivano di questo tipo di ansia prestazionale? Barbra Streisand, cantante statunitense, non si è esibita per ben 27 anni dopo che, durante un concerto, si è dimenticata le parole della canzone che stava cantando. Adele, più recentemente invece ha rimesso addosso ad alcuni fan proprio prima di salire sul palcoscenico a causa di una forte ansia.
Public Speaking: QUI e ORA.
Concludendo, vediamo alcuni esempi di stratagemmi che si possono adottare nei momenti in cui ci sentiamo intimoriti per affrontare situazioni di Public Speaking:
- Accetta te stesso: non ti demoralizzare se ti senti spaventato dall’idea di parlare al pubblico, è in realtà una grande occasione di crescita personale e farsi condizionare dalla paura ti potrebbe impedire di migliorare alcune abilità.
- Rilassa il corpo e respira: se sei molto agitato prova a fare qualche esercizio per smorzare l’ansia, spostando il respiro da toracico ed alto a diaframmatico e basso: questo ti aiuterà a raggiungere uno stato di tranquillità e a rilassare il tono muscolare teso. (Approfondisci il tema respiro e public speaking qui)
- Conosci la tua voce: una voce sicura è molto importante nelle interazioni sociali perchè può condizionare gli uditori in maniera positiva negativa: imparando ad utilizzarla al meglio potrai coinvolgere molte più persone!.
- Non essere solo: cerca di costruire una rete di persone che siano pronte ad aiutarti se ne avrai bisogno, sapere di non essere soli di fronte a una difficoltà te la farà vivere diversamente.
- Divertiti e chiediti perché lo fai: infine ricordati sempre di non mettere mai da parte il divertimento, goditi il momento senza pensare al giudizio di chi ti ascolta perchè questo aumenterà inutilmente la tua ansia: se tu ti diverti, chi ti ascolterà si divertirà.
Sitografia
https://www.focus.it/scienza/salute/le-medicine-per-cambiar-vita
https://www.nytimes.com/2004/10/17/arts/music/better-playing-through-chemistry.html
https://www.psicologopadova-galvani.it/5-strategie-public-speaking/
https://www.baruch.cuny.edu/tutorials/weissman/oral_presentations/public_speaking_guidelines.pdf
Federica Mattei