La paura di parlare in pubblico è una delle più comuni paure sociali. Anche solo al pensiero di parlare di fronte a un pubblico molti individui sperimentano un’attivazione psico-fisiologica particolare. Infatti si tratta di un’evenienza sociale che può far esperire un leggero disagio, risposte fisiologiche come martellamento del cuore, muscoli in tensione, tremore e così via. Questa attivazione solitamente è solo momentanea, e potrebbe risultare anche funzionale per mantenere una certa concentrazione e vigilanza in occasioni formali e/o di esposizione di sé. Può capitare anche che non ci sia in tempi brevi una reintegrazione di uno stato di calma e che anzi si arrivi proprio a evitare quella situazione di esposizione sociale, perché sentita in maniera anche drammatica. Parlare in pubblico inoltre richiama una situazione sociale che gli studenti universitari si trovano a dover vivere di frequente, tra esami orali, lezioni interattive e presentazioni di progetti in aula. Tuttavia, se si aggiungono a questa, l’ansia anticipatoria dell’evento stressante e un certo grado di vergogna a mostrarsi, la paura di parlare in pubblico può bloccare lo/la studente/studentessa a tal punto da influenzarne l’abbandono degli studi.
L’anticipazione di un evento stressante
Dato che parlare in pubblico è sentito come un evento impegnativo e spesso stressante, ci si prepara tempo prima ad affrontarlo. Che si tratti di una prova orale, tenere una lezione in aula, un esame, o presentare un progetto/attività di fronte a un’audience, c’è sempre un tempo più o meno lungo per immaginare, organizzare il discorso e prepararsi. In tutto questo tempo non si fa altro che anticipare quell’evento sociale. Regolarmente le persone fanno viaggi nel tempo nella “realtà mentale”, per rivivere momenti passati e immaginarne di futuri: si tratta di “viaggi” che sono in grado di influenzare le cognizioni, le decisioni e le emozioni del momento attuale. Ci si crea dunque delle aspettative più o meno realistiche su quell’evento prossimo, e queste sono in grado di influenzarne la maniera in cui le persone vivono i risultati. Di quella prova di fronte ad un pubblico potremo pensare che “Andrà bene!”, che ce la caveremo, o che “tutto andrà per il peggio”. La teoria del potere dell’aspettativa sull’esito è confermata da diverse ricerche, ad esempio Shepperd e McNulty, (2002) mettono in luce le conseguenze emozionali di eventi aspettati e inattesi. Questa idea è riecheggiata in una serie di espressioni contemporanee, come ad esempio “Non sperare troppo” e “Aspettati il peggio e non sarai deluso”.
Su questa linea, dalla letteratura si evidenzia inoltre che l’anticipazione di un evento, più che il suo ricordo, può risultare anche più eccitante emotivamente del vivere l’evento stesso (ad esempio Van Boven & Ashworth, 2007). In più l’incertezza che caratterizza gli eventi futuri può produrre un’emozione molto più intensa perché amplifica le reazioni emotive. L’incertezza è anche intrinsecamente sconvolgente e le persone sono meno in grado di razionalizzare e normalizzare eventi incerti (Bar-Anan, Wilson, & Gilbert, 2009).
Le emozioni in questo frangente esprimono a pieno la loro funzione fondamentale nella vita di tutti di giorni, ossia quella di metterci in stati di prontezza d’azione. Sembra infatti che persone pensino più a fondo agli eventi futuri perché tale simulazione mentale consentirebbe di prendere decisioni più informate sull’avvicinarsi o sull’evitare eventi futuri all’azione. Ma proprio perché con l’immaginazione si viaggia in lungo e in largo, c’è anche il rischio di allontanarci troppo a volte! Infatti solitamente chi prova paura dal parlare in pubblico non ha delle aspettative proprio positive sull’esito: più spesso si immagina che farà gaffes, che non ricorderà più il discorso, che rimarrà in silenzio, o comunque che farà una pessima figura di fronte agli altri. Inoltre da una ricerca dell’Università di Southampton (Regno Unito) si è scoperto che, nei casi di paura di parlare in pubblico, la natura e i contenuti dell’anticipazione dell’evento hanno alcune particolarità. Sembrerebbe che, in occasione dell’evento, le persone socialmente ansiose si focalizzino su immagini di sé negative anziché s sul compito, come farebbero invece persone con bassi livelli di ansia (Brown & Stopa, 2007).
Paura di parlare in pubblico in contesto universitario
La paura di parlare di fronte a un pubblico, se pur con un suo continuum di intensità, si associa all’ansia legata a situazioni sociali, dunque alla fobia sociale. Si sarebbe portati a pensare che coloro i quali scelgano di proseguire con l’università, non abbiano da affrontare questo genere di paure. Infatti l’università apre tutta una serie di opportunità di contatti sociali e scambi interazionali, e chi la sceglie lo fa palesemente per una personale affermazione nel mondo.
Tuttavia sembra che tra le aule universitarie circoli parecchia ansia sociale e paura di esporsi. Tra gli studenti universitari svedesi per esempio, è stata stimata una prevalenza di fobia sociale al 16,1%, che è paragonabile al tasso di prevalenza del 15,6% nella popolazione generale svedese. Questi valori elevati tra gli studenti universitari sorprendono, se si considera che la fobia sociale è stata segnalata per essere meno comune tra le persone con istruzione superiore (Tillfors & Furmark, 2007). Ecco che lo/la studente/studentessa con ansia sociale potrà mostrarsi inibito dall’intervenire a lezione, magari tenendosi anche i suoi dubbi/opinioni, poi rifiutare di partecipare a progetti di approfondimento per paura di esporsi, limitandosi le occasioni di apprendimento. Potrà trovarsi magari meno a disagio a svolgere esami in forma scritta, ma inevitabilmente dovrà affrontare poi esami anche in forma orale, come scoglio più grande. Infatti si tratta di una forma di valutazione che mette lo studente di fronte più stimoli da dover gestire contemporaneamente, che fanno capo non solo alla prova stessa ma anche e soprattutto al trovarsi esposti in una interazione faccia a faccia.
Come accennato più sopra, dunque, alcune delle risorse cognitive delle persone che provano ansia anticipatoria dal parlare in pubblico, sarebbero indirizzate verso pensieri negativi su di sé e pertanto deviate dall’obiettivo della prova. In aggiunta pare esserci in queste persone la tendenza ad assumere la prospettiva dell’osservatore, preoccupate di come possano essere percepite dagli altri (Hackmann, Surawy, & Clark, 1998). Nel caso dello/della studente/studentessa, l’osservatore-ascoltatore giudicante di cui si assume il punto di vista è gioco-forza già nel ruolo di emettere un giudizio e valutare. Infatti nella maggior parte dei casi gli studenti universitari guardano loro stessi con gli occhi del docente o della commissione di esami che si ha di fronte e con quelli degli ascoltatori alla presentazione. Tutti questi aspetti, distraggono dalla prova e ne comprometterebbero il risultato. Si può dire che in quei “viaggi mentali” c’è chi si perde o chi si ritrova in vicoli senza via uscita. L’ansia derivante dall’anticipazione del parlare in pubblico, può risultare tanto forte da diventare anche disabilitante. Vi si possono associare comportamenti evitanti come l’allontanarsi dall’evento, procrastinare, trovare scuse per non affrontare, rimandare all’infinito ecc. Queste sono solo alcune tra le strategie disfunzionali che gli studenti universitari in quelle situazioni mettono in atto. Il 16% di studenti/esse con fobia sociale ha dichiarato si assumere farmaci ansiolitici per gestire la situazione, nella stessa percentuale dichiarano di focalizzarsi invece su esercizi di respirazione (Tillfors & Furmark, 2007): due strategie che possono avere effetti e efficacia diversi.
L’alto tasso di prevalenza di fobia sociale, e di paura di parlare in pubblico tra gli studenti universitari non andrebbe sottovalutata ma presa sul serio. È rilevante allora far conoscere agli studenti delle strategie più funzionali di gestione della paura di parlare in pubblico e informarli della disponibilità di trattamenti psicosociali e psicoterapeutici, nei casi più difficili, prima di ricorrere a farmaci. Ciò potrebbe in ultima analisi prevenire l’abbandono prematuro della carriera accademica.
Il Modeling per imparare a gestire la paura
Per affrontare e gestire le paure spesso possono essere efficaci gli apprendimenti vicari, dunque l’apprendimento tramite osservazione dell’estinzione di una paura in una terza persona. Bandura ha infatti provato come, tramite l’osservazione di un graduale avvicinamento e delle interazioni positive con lo stimolo avversivo (come con un cane, nel caso di cinofobia) fino all’estinzione della paura, può essere un valido aiuto, addizionato ad altre tecniche, per far fronte ai comportamenti di evitamento (Bandura & Menlove, 1968). E la paura di parlare in pubblico, parlando ancora di “paura” si potrebbe superare anche grazie l’osservazione? Seguendo il symbolic modeling di Bandura, una ricerca di Knight, Dipper, & Cruice (2013) ha tentato di dimostrare se a seguito della visione di mini video in cui si potevano osservare proprio degli esami orali, gli studenti percepivano meno ansia in relazione all’esame. Seppur con risultati poco significativi, c’è stata una dichiarazione da parte dei partecipanti di un abbassamento del loro livello d’ansia. Sembrerebbe dunque che anche in questo particolare caso, vedere che qualcun altro prendere confidenza e non mostrare ansia in una occasione di esposizione personale di fronte ad un pubblico (di docenti) la paura può venire attenuata. Un cambiamento anche minimo nel proprio sentire emotivo, con una minore ansia, di sicuro inibisce in una certa misura la condotta di evitamento.
C’è da ricordare però che, per poter vivere un senso di auto efficacia in azione, è importante in primo luogo farne esperienza in prima persona (Bandura, 1996). Ricordando poi che solitamente chi vive la paura dal parlare in pubblico tende ad assumere la prospettiva esterna dell’osservatore, potrebbe essere utile allora cercare di tornare “alla propria prospettiva”. In questo senso agli studenti universitari potrebbe essere fruttuoso esercitarsi nel simulare un discorso di un esame da soli più volte, e magari di fronte allo specchio: potrebbe riportare il focus su di sé e su aspetti più oggettivi che immaginativi. Per esempio la persona potrebbe, ripetendo senza timore di giudizio esterno, notare come davvero appare e non come immagina di essere allo sguardo altrui. In questa prova il pubblico è solo lo specchio, quindi la persona stessa; videoregistrarsi può offrire poi la possibilità di capire anche cosa conviene migliorare per un più efficace e agevole modo di esporre e di esporsi. Poi presa confidenza con sé stessi come pubblico, potrebbe essere utile provare di fronte a qualcuno di fidato, disponibile ad ascoltare e che può far sentire a proprio agio: un graduale “aumento di difficoltà”. Questo esercizio di role-playing permetterebbe di far vivere alla persona una situazione che somiglia molto a quella che dovrà poi vivere in un prossimo esame/valutazione orale, e quindi trovare più sicurezza per affrontare l’evento atteso con ansia.
Bibliografia
Bandura, A. (Ed.). (1996). Il senso di autoefficacia. Aspettative su di sé e azione. Edizioni Erickson.
Bandura, A., & Menlove, F. L. (1968). Factors determining vicarious extinction of avoidance behavior through symbolic modeling. Journal of personality and social psychology, 8(2p1), 99.
Bar-Anan, Y., Wilson, T. D., & Gilbert, D. T. (2009). The feeling of uncertainty intensifies affective reactions. Emotion, 9(1), 123.
Brown, M., & Stopa, L. (2007). Does anticipation help or hinder performance in a subsequent speech? Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 35(2), 133-147.
Hackmann, A., Surawy, C., & Clark, D. (1998). Seeing yourself through other’s eyes: a study of spontaneously occurring images in social phobia. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 26(1), 3-12.
Knight, R.-A., Dipper, L. & Cruice, M. (2013). The use of video in addressing anxiety prior to viva voce exams. British Journal Of Educational Technology, 44(6), E217- E219. doi: 10.1111/bjet.12090
Shepperd, J. A., & McNulty, J. K. (2002). The affective consequences of expected and unexpected outcomes. Psychological Science, 13(1), 85-88.
Tillfors, M., & Furmark, T. (2007). Social phobia in Swedish university students: prevalence, subgroups and avoidant behavior. Social psychiatry and psychiatric epidemiology, 42(1), 79-86.
Van Boven, L., & Ashworth, L. (2007). Looking forward, looking back: Anticipation is more evocative than retrospection. Journal of Experimental Psychology: General, 136(2), 289.
Dearca Beatrice
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