IL CODICE DI ETICA PER PSICOTERAPEUTI CORPOREI: RIFLESSIONI E PUNTI DEBOLI

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Il Codice di Etica per psicoterapeuti corporei: riflessioni e punti deboli

Di Luca Rizzi e Rebecca Montresor

Quanti Psicoterapeuti corporei conoscono l’esistenza di un codice Etico specifico per il loro lavoro? Perché è importante conoscere il codice deontologico?

Questo articolo nasce con l’obiettivo di diffondere alcuni principi di base della pratica clinica di noi psicoterapeuti corporei. Infatti, oltre ad un codice etico della professione di Psicologi, è bene conoscere e approfondire anche il codice etico per psicoterapeuti corporei. Molti professionisti non sanno quali sono i criteri da rispettare nel momento in cui intervengono su un piano fisico (attraverso la mobilizzazione di posture, o tecniche di respirazione o basate sul contatto fisico). Conoscere e aver riflettuto su questi criteri è fondamentale per evitare denunce, lamentele, danni a se stessi e agli altri. Sappiamo infatti che il lavoro sul corpo è molto potente e proprio per questo, richiede ancor di più cognizione di causa, alta formazione e tutela.

Cos’è un codice deontologico?

Il codice deontologico è un elenco di “doveri” a cui il professionista deve attenersi per l’esercizio della sua attività professionale. In questo si possono evincere i criteri per affrontare i dilemmi etici e deontologici e quindi seguire una direzione “buona” con quelle azioni che formano il lavoro del professionista. Un esempio è quello del consenso informato che ogni psicologo consegna al suo cliente per informarlo di ciò che tratterà la sua presa in carico.

Il codice etico per psicoterapeuti corporei è stato pubblicato nel sito dell’AIPC, la sezione italiana dell’European Association for Body-Psychotherapy (EABP).

Purtroppo il codice etico per psicoterapeuti corporei è, nelle sue linee guida, piuttosto vago, è non sempre risponde alla complessità e alle caratteristiche dei diversi modelli di terapia corporea.

Energia e relazione terapeuta – paziente

Il Codice di Etica si apre con la “Dichiarazione dei Soci EABP” (European Association of Body-Psychotherapy), una breve sezione in cui si delineano i comportamenti generali del terapeuta e vengono toccati alcuni dei punti che saranno, poi, approfonditi nelle sezioni successive.

Viene menzionato spesso il concetto di energia: nella prima riga del secondo paragrafo, in particolare, si legge che «il nostro lavoro è dedicato alla liberazione dell’energia». Un concetto che rimane vago e non dà alcuna indicazione sul suo significato preciso: si rimanda solo alla necessità di una profonda consapevolezza da parte del terapeuta, tenuto a impegnarsi ad instaurare con il paziente una relazione “asimmetrica”.

Ecco un primo punto critico: cosa si intende per relazione asimmetrica?

Come suggerisce il termine, si tratta di un rapporto in cui uno dei componenti (il terapeuta, in questo caso) si trova in una posizione più “elevata” rispetto all’altro o agli altri. In molti modelli, soprattutto in quello psicodinamico, viene visto come l’unica tipologia di relazione terapeutica possibile: per la sua stessa struttura, il terapeuta deve avere un ruolo “superiore” per guidare e far progredire il paziente. Tuttavia, non è l’unica alternativa – in alcuni modelli corporei, come quello Funzionale (Rispoli, 2004), la relazione simmetrica è fortemente incoraggiata in specifiche fasi della psicoterapia.

L’orientamento che emerge da questa prima sezione è prettamente dinamico; questo rischia di comunicare un’idea parziale delle psicoterapie corporee, aggravato dai continui rimandi alla sessualità (nel penultimo paragrafo si legge: «[…] di conseguenza dobbiamo essere particolarmente attenti e sensibili alle problematiche di ogni tipo, sia nel campo fisico che psicologico e particolarmente riguardo ai problemi della sessualità.») che fomentano una concezione già piuttosto polarizzata del corpo.

Obiettivi della terapia

Tornando al Codice, secondo la Definizione di Psicoterapia Corporea l’obbiettivo principale del terapeuta è quello di rimediare alla frammentazione del Sé nel paziente. Ma quali caratteristiche (del terapeuta) possono facilitare questo processo?

• «Una coscienza intuitiva e una conoscenza dello sviluppo sano della personalità». Cosa si intende per “sviluppo sano della personalità”? “Sano” è un termine tuttora controverso, perciò una tale conoscenza implica necessariamente un giudizio soggettivo da parte del terapeuta;

• «la conoscenza dei differenti pattern dei conflitti irrisolti dall’infanzia con uno specifico riferimento alla scissione della mente e del corpo». Questo passaggio non è molto chiaro: sembra che la scissione avvenga, per forza di cose, durante l’infanzia – come se si trattasse di una “fase critica” passata la quale il rischio si riduce o si annulla. Sappiamo, invece, che in molti casi l’insorgenza della malattia avviene nella tarda adolescenza, mentre in altri – come nel disturbo post-traumatico da stress – può manifestarsi in qualsiasi fase del ciclo di vita.

Gli ultimi due punti, relativi alla «abilità nel mantenere un costante ruolo di riferimento ed una differenziata sensibilità nel mantenere le inter-relazioni» tra l’organismo e i processi psicologici (posti esplicitamente come «psicodinamici») introducono un aspetto fondamentale delle psicoterapie corporee: il corpo torna ad essere un elemento cardine per l’equilibrio ed il benessere psichico della persona, sebbene nel Codice vi siano ancora espliciti riferimenti ai modelli bioenergetici e psicanalitici.

L’etica dello psicoterapeuta corporeo

Nella seconda macrosezione vengono descritti nel dettaglio i principi che il terapeuta dovrebbe seguire nei vari ambiti della sua professione – in particolare:

  1. Nella terapia individuale
  2. Nelle terapie di gruppo
  3. Nel training
  4. Durante la supervisione
  5. Nella ricerca
  6. Nelle relazioni professionali
  7. Nelle affermazioni pubbliche

Una differenza interessante rispetto al Codice Deontologico degli psicologi è la presenza di esempi concreti per ogni principio.

Nel principio di valutazione, sezione A, si legge:

All’inizio della terapia, il terapeuta valuta i bisogni del cliente e la sua abilità nel capirli, mostra rispetto per qualsiasi condizione medica del cliente, e lo incoraggia a cercare un aiuto adeguato.

Sebbene possa sembrare banale, uno dei primi passi verso la buona riuscita di un percorso terapeutico è capire se è effettivamente il caso di intraprenderlo. Per riuscirci è necessario valutare il caso con attenzione, assicurarsi che la psicoterapia sia ciò di cui il paziente ha bisogno, ed agire di conseguenza. Il testo continua:

 Considera l’appropriatezza dei suoi interventi e il processo dell’interazione terapeutica […]. È attento agli effetti della terapia sulla vita di tutti i giorni del cliente ed è attento agli avvenimenti giornalieri nel processo terapeutico.

L’attenzione è alla base di ogni sana relazione umana – e la relazione terapeutica non fa eccezione. Il paziente arriva nello studio del terapeuta perché ne ha bisogno, perché gli hanno detto che ne ha bisogno o perché “ha bisogno di averne bisogno”. In ognuno di questi casi, durante la seduta egli merita la totale attenzione del professionista cui si rivolge; attenzione che poi verrà ridimensionata al di fuori del setting (sarebbe impossibile e controproducente mantenere tutta l’attenzione su ogni paziente). Non si tratta di soddisfare i bisogni narcisistici del cliente, o di focalizzare interamente la propria pratica su un’unica persona – bensì di averne cura. Non c’è niente di peggio, per un individuo, di essere guardato e letto distrattamente come fosse un fax.

Un altro aspetto fondamentale cui viene dato spazio è il principio di onestà:

 Lo psicoterapeuta corporeo deve essere onesto circa la sua formazione (training) e le sue capacità, verso i limiti della sua terapia e la sua percezione del cliente ed altrettanto onesto sulla relazione di queste variabili tra loro.

 È strettamente collegato al principio di valutazione e in particolare all’auto-valutazione, poiché senza di essa il terapeuta non potrebbe essere in grado di riconoscere i propri punti di forza e di debolezza – di conseguenza, non potrebbe ammetterli di fronte al paziente.

Nel testo si legge anche:

Visualizza accuratamente la sua percezione del cliente nella situazione terapeutica.

Perciò il terapeuta non solo dovrebbe essere onesto riguardo i propri strumenti e le proprie potenzialità, ma anche a proposito del suo personale punto di vista sul paziente e sul lavoro da svolgere, così da tutelare sé stesso e garantire un sostegno efficiente.

Se per qualche motivo la terapia non dovesse funzionare e dovesse quindi essere terminata, il Codice di Etica prevede che

Le procedure di terminazione includano almeno una sessione con il terapeuta e il cliente a consulto da un esperto esterno per aiutare a chiarire la relazione contrattuale.

Training e formazione

 Una menzione speciale va sicuramente alle sezioni C e D del Codice di Etica, rispettivamente sulle “relazioni nel training” e sulla supervisione, che rappresentano una novità rispetto al Codice Deontologico degli psicologi.

Un buon professionista è il risultato di studi, dedizione, tempo ed esperienza formativa di qualità – la quale, purtroppo, non è altrettanto tutelata. Perciò è di estrema importanza che si sottolinei la necessità di un sano e rispettoso rapporto fra trainer e tirocinante: è in quel luogo che le nozioni teoriche assumono significato e senso. In un buon training, il tirocinante ha la possibilità di mettere in pratica – più o meno limitatamente, a seconda del contesto e della tipologia di tirocinio – i concetti appresi, riuscendo anche (nei casi migliori) ad abbozzare i contorni di un proprio stile professionale.

È sorprendente che, all’interno di un documento maggiormente riconosciuto (il Codice deontologico degli Psicologi), venga dato così poco spazio ad una componente comune ad ogni laureato in Psicologia (a prescindere, pertanto, dall’indirizzo, dal modello, o dal percorso in sé). Infatti, nel Codice Deontologico si legge solo un rapido accenno alla questione:

Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.

 Al contrario, nel paragrafo sul principio del potere è scritto:

Il trainer usa il suo potere solo per stabilire e mantenere la struttura e la qualità del training. Egli accetta l’esito dell’organizzazione democratica dei tirocinanti. Incoraggia i tirocinanti a condividere la loro valutazione del sistema e del programma del training. Egli ascolta l’opinione dei tirocinanti sulla struttura organizzativa del sistema e del programma del training, e prende in considerazione i loro suggerimenti.

 Emerge chiaramente come il tirocinante venga considerato, in termini di diritti, una figura professionale alla pari del trainer. Ci si aspetta che egli partecipi in modo attivo e proattivo nel contesto lavorativo, esponendo la propria opinione e contribuendo al miglioramento della struttura e del suo sistema: assume quindi un’importanza che va al di là del semplice apprendimento passivo, trasformando il training in un’occasione di crescita per entrambe le parti.

Conclusione

 Cercando di riassumere gli aspetti salienti di questa breve analisi, si può affermare che il Codice di Etica per gli psicoterapeuti corporei contiene aspetti molto preziosi, quali il principio di onestà, i riferimenti specifici alla qualità del training e alla necessità di una buona supervisione, e il bisogno di terminare la terapia in modo appropriato – ovvero, quando possibile, di avvalersi dell’aiuto di un ulteriore esperto esterno alla relazione.

Nonostante ciò, è difficile ignorare una certa mancanza di cura nella sintassi e nella stesura generale: il testo pullula di ripetizioni e di frasi costruite con poca attenzione. Resta comunque comprensibile, però rischia di risultare “poco serio” e affidabile. L’insistente sottolineatura del concetto di sessualità, inoltre, potrebbe comunicare un’idea distorta riguardo le psicoterapie corporee.

Nel complesso, c’è ancora del lavoro da fare per renderlo una guida autorevole e riconosciuta; la potenzialità però è alta, in quanto offre dei punti di vista concreti e maggiormente improntati sull’aspetto umano della relazione terapeutica.

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